22 anni senza KURT COBAIN

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Ventidue anni fa moriva Kurt Cobain, poeta maledetto del rock

Il ricordo degli ultimi concerti che facevano presagire la tragedia imminente.

A ventidue anni dalla morte per suicidio che lo proiettò nella mitologia del rock’n’roll, in omaggio al terribile detto per cui «muore giovane chi è caro agli dei», il modo più efficace di commemorare Kurt Cobain forse è ricordarlo com’era sul palco coi suoi Nirvana, durante quegli ultimi concerti che portavano già chiarissimi i segni della sciagura imminente.

 

Già, perché all’inizio del 2004 la band di Seattle era in tournée per il disco In Utero e il 21 febbraio debuttava al palasport di Modena nella data inaugurale della tranche italiana. Cobain, Novoselic e Grohl, chitarra, basso e batteria, la soluzione strumentistica più essenziale che si conosca su cui si innestava la voce spezzata di Kurt, avevano dato vita a una formula rock micidiale e corrosiva come non si vedeva dal punk di metà anni 70, e ora raccoglievano i frutti di un successo mondiale. E dire che in Italia c’erano già venuti qualche anno prima, andando a suonare nei club per un pubblico di pochi intimi: era appena uscito Never mind, il disco che di lì a qualche mese li avrebbe consacrati a livello internazionale, ma almeno qui da noi li conosceva solo una minoranza ristrettissima, e i Nirvana suonavano per cento-duecento persone.

Ben diverso il clima da grande evento che li accolse a Modena quattro anni più tardi, coi biglietti esauriti e seimila ragazzi coi capelli lunghi e la camicia a scacchi – elemento imprescindibile della divisa “grunge” del tempo – che fin dal pomeriggio avevano fatto la spola fra il palazzetto e il vicino ipermercato, dove si rifornivano di alcolici di ogni tipo che poi si portavano dietro nei carrelli della spesa.

 

Dentro, una bolgia dantesca: molti vomitarono per il combinato disposto di alcol e caldo, mentre il gruppo supporter dei Melvins, il primo amore musicale di Cobain, apriva le danze per poi lasciare posto sul palco ai Nirvana. Un concerto disperato, con ondate sonore di un color nero profondo che si abbattevano sul pubblico sulle note di Pennyroyal Tea, Rape me, Smells like teen spirits, la cui immagine simbolo è quella di Kurt che si appoggia stremato al muro di amplificatori Marshall dietro di lui, perché non stava in piedi. Semplicemente non ce la faceva più, preda com’era dei dolori dell’anima e di stomaco che cercava di sedare con l’eroina.

 

Seguirono una data a Roma, dove il cantante venne pure ricoverato, e altre due a Milano, dopodiché Cobain tornò negli Usa e si rinchiuse nella sua casa sul lago Washington. Un elettricista lo trovò cadavere la mattina dell’8 aprile nel garage dove si era sparato col suo fucile a pompa. Aveva 27 anni.

Foonte: La Stampa

Lo ricordiamo con uno dei suoi più grandi successi, ovvero ‘Smells like teen spirit’

kurt cobain

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