di Ruben Marzà
Christopher Axworthy, pianista, organizzatore e critico musicale britannico, direttore artistico del Keyboard Charitable Trust, ha da più di 40 anni un legame strettissimo con l’Italia. Lo abbiamo incontrato al Media Lounge di Cremona Musica 2021, kermesse di esposizioni ed eventi tra le più importanti al mondo, nonché punto di incontro per personalità di primo piano del panorama musicale internazionale. Con un italiano perfetto – anzi, con il suo «italiano della regina», come ama ripetere – ci ha offerto alcune considerazioni sulla sua esperienza di musicista e sul suo rapporto con l’Italia.
Ci parli della sua esperienza a Cremona Musica. Com’è nato il rapporto con la città e con la manifestazione?
Sono stato qui per la prima volta 2 anni fa su invito di Roberto Prosseda. A suo tempo ero stato io ad invitarlo a suonare a Roma, al Teatro Ghione, in un momento in cui nella capitale non si trovava spazio per far suonare neppure i grandi artisti: lui studiava con Sergio Cafaro a due passi dal teatro, mi chiedeva sempre di venire a provare prima dei concorsi. Allora come adesso, aveva capacità non comuni: qui a Cremona lo vedo fare mille cose, presentare una conferenza e un attimo dopo improvvisare in duo con Roby Lakatos. Il suo atteggiamento riflette le mille opportunità di questo festival: io stesso non faccio che correre da una parte e dall’altra, e come me molti altri – penso a Valentina Lo Surdo, che presenta praticamente tutti gli eventi [ride]. È anche una bella occasione per ritrovare vecchie conoscenze: sono stato ore a chiacchierare con Jed Distler [pianista, compositore e critico statunitense], che non vedevo da molto.
Cosa significa essere direttore artistico di un’organizzazione come il Keyboard Charitable Trust?
Con il Keyboard Trust cerchiamo di aiutare i giovani pianisti più promettenti sulla scena internazionale a sviluppare e portare avanti la propria carriera: oggi non basta più essere i primi della classe e vincere qualche concorso, bisogna trovare dove suonare, essere disposti a viaggiare ed essere sempre perfetti sul palco. Noi aiutiamo i giovani in tutti questi aspetti del loro lavoro. Nel mondo di oggi, se non si è anche impresari di se stessi, è difficile portare avanti la propria carriera. Poi scrivo spesso articoli dedicati ai giovani pianisti, come recentemente al Concorso Busoni, e anche qui a Cremona Musica non ho fatto che correre ovunque cercando di ascoltarli tutti!
La sua esperienza in Italia riguarda non solo la scena musicale, ma anche quella teatrale. Ci parli del Teatro Ghione.
Ho conosciuto mia moglie Ileana Ghione a Siena nel 1978, quando studiavo con Guido Agosti: lei era tra i giovani attori che accompagnavo al pianoforte in un corso pensato per insegnare loro a cantare e a usare il diaframma. Lei era l’unica a parlare inglese: ci siamo piaciuti e alla fine non sono più tornato a casa. Abbiamo comprato per pochi spiccioli un vecchio cinema di Roma vicino San Pietro, lo abbiamo rimesso in sesto noi stessi alla maniera di un teatro inglese, con velluto rosso invecchiato che dà atmosfera. Là non organizzavamo solo spettacoli teatrali, ma anche musica: per primo invitai Guido Agosti, che ha registrato al Teatro Ghione il suo unico disco; poi il mio altro maestro Vlado Perlemuter, che ho fatto debuttare in Italia alla tenera età di 81 anni (in molti mi hanno chiamato stupiti: «Non sapevamo fosse ancora vivo!»). Poi Rosalyn Tureck, una carissima amica, che da Roma ha intrapreso un tour trionfale in tutta Italia che ha dato nuovo slancio alla sua carriera: divenne la diva di Firenze per le interpretazioni di Bach, un po’ quello che oggi è Angela Hewitt.
Tra poco assisteremo, qui a Cremona Musica, a una tavola rotonda sul tema della fruizione musicale digitale e dello streaming. Qual è la sua opinione al riguardo?
Negli ultimi mesi, complice la pandemia, lo streaming è esploso, tantissima musica viene trasmessa in questo modo. Jed Distler mi ha detto «È come quando sono arrivati i primi cd», una rivoluzione del mezzo di diffusione della musica. Bisogna però trovare il modo di utilizzare e includere questo nuovo strumento nella musica, non in maniera momentanea: da parte mia, credo sia importante che lo streaming rimanga a disposizione del pubblico, è l’unica cosa buona che ci ha portato questa pandemia, una forma di comunicazione immediata. Alcuni ritengono che, visto che ora si può tornare ad assistere ai concerti in presenza, il periodo dello streaming sia finito: secondo me invece è un modo, oltre che per permettere di ascoltare a chi è impossibilitato a spostarsi fisicamente, anche per ampliare il nostro pubblico, che rimane ancora troppo limitato. Troppa gente non conosce, e quindi non apprezza il valore della musica classica.
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