di Smeralda Nunnari
«Non ascoltare i consigli di nessuno, se non quelli del vento che passa e ci racconta la storia del mondo.»
(Claude Debussy)
Debussy, compositore e pianista francese, è considerato l’iniziatore della musica moderna che rivoluziona l’armonia, il ritmo, la sonorità e la forma della musica occidentale, nella seconda metà del XIX secolo. Frequentatore di circoli letterari e artistici parigini di fine secolo, influenzato dal movimento simbolista francese, affascinato dalla dimensione misteriosa della realtà, del sogno, dalla musicalità della parola, condivide con gli impressionisti l’attenzione per la natura, interpretandoli con un nuovo linguaggio musicale, nel fermo rifiuto, però, di qualsiasi categorizzazione, riguardo la collocazione critica delle sue opere.
L’artista, anche, nell’adottare la forma del preludio non segue nessuna delle orme del passato, ma ne assume l’antica terminologia con tutte le caratteristiche della propria personalità artistica, insieme ad un dosato controllo delle proprie emozioni, anche in questo brano, dove sembra che esse s’abbandonino a sonorità tumultuose, stridenti ed angosciose. Ed è così, come rileva Alfred Cortot che: «adattato a questa nuova modalità espressiva, il Preludio, con il suo carattere d’improvviso, il valore poetico della sua compendiosità, la sua docilità ad esprimere tutte le idee musicali senza imporre loro i rigori d’uno sviluppo prestabilito, doveva offrire a Debussy le risorse d’una forma particolarmente favorevole all’attuazione delle sue tendenze. Infatti, nessuna delle sue opere per pianoforte ha potuto riflettere più fedelmente dei Preludi la freschezza e la varietà di un’arte che con essi sembra avere perfezionato ancor più il suo potere evocativo».
Ecco che nasce, tra il 1910 e il 1913, il suo sublime capolavoro: una galleria di ventiquattro quadri, suddivisi in due Livres. In una sapiente architettura, dove ogni titolo dei preludi viene posposto tra parentesi e preceduto da puntini di sospensione, con grande umiltà.
Composto in un impeto di fervore creativo, Ce qu’a vu le vent d’Ouest (Ciò che vide il vento dell’ovest), svela la predilezione del giovane Debussy per le meravigliose storie di Hans Christian Andersen, autore e poeta danese. Infatti, ne Il giardino del paradiso il narratore parla di un principe che vagando nella foresta, in una tana luminosa, incontra la vecchia madre dei Venti. La donna mentre attende il ritorno dei figli, spiega al giovane che le quattro borse sul muro, le servono per tenere sotto controllo i suoi ragazzi. Man mano, arrivano i quattro figli, quindi, anche, Zephyr, il Vento dell’Ovest che porta con sé la freschezza del mare e narra come egli giunga da lontano, di aver visto deserti, foreste, fiumi profondi e animali. Racconta di aver soffiato tempeste, di aver fatto capriole nella savana, accarezzato cavalli selvaggi, sradicato alberi, trasformato fiumi in polvere, per giungere fino alle nuvole formando l’arcobaleno.
Ma è, anche, indubbia l’ammirazione del compositore francese verso Shelley, poeta inglese romantico dal temperamento focoso e dalla vita avventurosa. E una delle più sublimi poesie di Shelley è l’Ode al vento dell’Ovest. Una sorta d’invocazione al «vento selvaggio […], nella cui corrente si disperdono / le nuvole vaganti […] angeli messaggeri della pioggia e del lampo […]» e «per i cui sentieri la possente superficie / dell’Atlantico si squarcia in abissi […] Fai di me la tua cetra, come già / tu fai della foresta […]» con un epilogo implorante: «E per l’incantamento / di questi versi, spargi in mezzo agli uomini / le mie parole, come le faville / insieme con le ceneri, da un cuore / che ancora non è spento. Ed attraverso / le mie labbra sii tu per la dormiente / terra la tromba d’una profezia! […]»
La musica che Debussy ha composto per questo preludio, dinamicamente il più potente di tutto il Premier Livre, non segue il contenuto ideale dell’Ode di Shelley. In questo brano non si riscontra né lo spirito di una profezia, né l’impetrazione al vento selvaggio, affinché sollevi dalle spine della vita e ancor meno quell’identificazione dell’«impetuoso Spirito» con sé stesso, invocata dal poeta anglosassone. Non si può, quindi, dire, come qualcuno afferma, che quest’Ode abbia ispirato tale composizione. Ma attenendosi al significato del titolo, il Preludio vuole evocare con straordinaria potenza Ciò che ha visto il vento dell’Ovest nella sua forza terrificante e distruttrice, più vicino indubbiamente al personaggio di Zéphyr, ossia il grande vento d’occidente gonfio di tempeste raccontato da Andersen.
Il brano è un esempio di virtuosismo pianistico, alcune difficoltà tecniche richiamano le composizioni di Franz Liszt, in particolare Orage tratto da Anneés de pèlerinage. Nella composizione è evidente un riflesso de La Mer, dove il vento dell’Ovest è il vento dell’Atlantico, foriero di tempeste. Tale composizione che occupa il settimo posto tra i preludi, con l’indicazione Animé et tumultueux, in fa diesis minore, costituisce un geniale arco centrale, sia dal punto di vista tecnico, sia sinestetico, per i dodici preludi del Premier Livres, preceduto dal senso di gelida tristezza di Des pas sur la neige (Passi sulla neve) e seguito dal calore e dalla dolcezza de La fille aux cheveux de lin (La fanciulla dai capelli di lino). Entrambe più agevoli da eseguire, rispetto al tumulto raffigurato musicalmente in settantadue battute con sonorità potenti, in un pezzo animato e veloce come la furia del vento, tra arpeggi e accordi forti e dissonanti tali d’avvincere e turbare, fino a provocare uno sconvolgimento catartico.
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