Dalla ricerca all’interpretazione. Intervista a Chiarastella Onorati

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di Salvatore Sclafani

Chiarastella Onorati, pianista e mezzosoprano, è un’artista poliedrica. Interprete versata nel repertorio dal Seicento alla musica moderna e contemporanea, con un’attività che spazia dal teatro lirico, al repertorio sinfonico-vocale e alla musica vocale da camera (in questo caso, dalla liederistica tedesca alla produzione italiana, francese, spagnola e russa), ha inciso per Musicaimmagine Records, Foné, RaiTrade, Tactus e Brilliant e collaborato con direttori d’orchestra quali Peter Maag, Lu Jia ed Ennio Morricone. Docente di pianoforte (già titolare di cattedra al Conservatorio Francesco Morlacchi di Perugia, insegna attualmente al Conservatorio Ottorino Respighi di Latina) e di repertorio cameristico, e perfezionatasi nel Corso di Alta formazione in Vocologia Artistica con una tesi sulla dizione per il canto (conseguito all’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Chiarastella Onorati si è inoltre distinta per il suo infaticabile lavoro artistico e critico sul compositore Giuseppe Martucci (1856-1909). Il suo disco Giuseppe Martucci – La Musica vocale da Camera, inciso per Tactus nel 2006, e l’edizione da lei curata del volume Giuseppe Martucci – La Musica Vocale da Camera per voce e pianoforte, pubblicata da Ricordi nel 2020, rappresentano il risultato di una lunga ricerca, condotta con costanza e serietà scientifica.

Per la prima volta, questa recente pubblicazione Ricordi raccoglie l’integrale della produzione vocale da camera di Martucci in unico volume. E presenta anche un brano inedito.

Com’è nato l’interesse per la musica vocale da camera di Giuseppe Martucci?

 Prima del disco inciso per Tactus nel 2006, conoscevo poco Giuseppe Martucci. Da pianista, Martucci rappresentava per me addirittura una sorta di compositore minore, le cui opere erano proposte di tanto in tanto all’esame di quinto anno. In realtà, esistono diverse composizioni pianistiche di Martucci poco eseguite e che vale la pena riscoprire, fra cui la difficile Sonata per pianoforte in Mi maggiore, Op. 34.

Quando poi ho cominciato a studiare Canto, mi sono perfezionata con Margherita Rinaldi, grande soprano lirico dalla tecnica solidissima, e con il marito Valentino Barcellesi, pianista, già collaboratore al Teatro alla Scala di Milano, e segretario artistico per diversi teatri italiani. Ho quindi  avuto la possibilità di studiare la tecnica vocale con la prima e di approfondire il repertorio cameristico al pianoforte con il secondo.

Chiarastella Onorati

Un giorno, Valentino mi propose di studiare La canzone dei ricordi – non la conoscevo! – e mi diede una deliziosa edizione del volume, con delle decorazioni in stile liberty. Preparare l’opera  fu davvero appassionante: fui sorpresa dal linguaggio di Martucci, così divergente dagli stili in voga in Italia alla fine dell’Ottocento. Infatti, a quell’epoca i compositori italiani scrivevano generalmente melodrammi o, come nel caso di Francesco Paolo Tosti, brani a partire da liriche di poeti italiani, fra cui Gabriele D’Annunzio. Con La canzone dei ricordi, Martucci realizza un vero e proprio ciclo liederistico che si avvicina molto alle sensibilità della musica d’oltralpe, in particolare alle opere di Schumann, sin dal punto di vista formale : i brani de La canzone dei ricordi presentano un’Introduzione e una Coda di grande spessore pianistico e la voce e il pianoforte compiono un vero e proprio lavoro alla pari. Allo stesso tempo, tali elementi sono assorbiti e filtrati in chiave estremamente personale, in uno stile che resta legato in maniera originale alla più raffinata tradizione melodica italiana.

Preparare La canzone dei ricordi, brano che ho cantato anche nella versione per voce e orchestra realizzata dall’autore qualche anno dopo, ha dunque suscitato in me un profondo interesse verso Giuseppe Martucci. Così, ho voluto approfondire la mia ricerca verso tutta la musica vocale da camera del compositore campano e ho scoperto l’esistenza del Centro Studi Martucciani a Novara. Mi sono rivolta a Folco Perrino, direttore del Centro Studi e massimo biografo di Martucci, autore di ben quattro volumi sul compositore e curatore del suo catalogo. Perrino si è mostrato molto generoso nel darmi accesso a questo repertorio, favorendo il buon prosieguo della mia ricerca, tanto da instillare in me l’idea di incidere tutta la musica vocale da camera per la prima volta in assoluto. È vero, alcuni soprani avevano già registrato La canzone dei ricordi nella versione con l’orchestra; tuttavia, non erano ancora disponibili sul mercato versioni per mezzosoprano e pianoforte, nonostante la dedicataria Alice Barbi fosse mezzosoprano (il preferito di Johannes Brahms, tra l’altro).

Il risultato di questa prima fase della mia ricerca è stato dunque il disco Giuseppe Martucci – La Musica vocale da Camera. Oltre a La canzone dei ricordi, il lavoro contiene tutte le liriche per voce e pianoforte del compositore, fra cui Pagine sparse, Op. 68, Sogni e Tre Pezzi, Op. 84.

Perrino mi segnalò inoltre l’esistenza di un’opera inedita, Ballando!, non inclusa nell’Archivio del Centro, poiché ritirata dal catalogo, sconfessata e rielaborata dallo stesso Martucci in una nuova veste: il brano Trèfle à quatre feuilles, Op. 74 per pianoforte. Dato che non era mai stata pubblicata, Perrino mi suggerì di non tenerne conto per la mia incisione: per questa ragione, Ballando! non è presente nel disco. Successivamente, decisi di mettermi comunque sulle tracce dell’opera. Andai a Napoli, dove è custodita gran parte dei manoscritti di Martucci, e riuscii a ottenere una copia dell’autografo.

 

Lo studio del manoscritto ha presentato difficoltà?

 Non è stato difficile avere accesso alla copia del microfilm. Tuttavia, il manoscritto presentava diverse cancellature che ne rendevano ardua la lettura. Evidentemente, la genesi di Ballando! è stata particolarmente controversa.

Così come per La canzone dei ricordi, in cui viene fatta allusione a una figura femminile, ricordata come un amore passato, in Ballando! il personaggio centrale è una donna, questa volta in atto di ballare con un uomo. Dopo un preludio pianistico, seguono tre quadri che descrivono la danza in maniera simbolica e immaginifica. Armonicamente, l’opera presenta delle soluzioni ardite ed estremamente originali, che danno la misura della sua composizione tormentata e che spiegano, forse, perché Martucci l’abbia ritirata dal catalogo.

 

Per quali ragioni il compositore avrebbe preso tale decisione? 

 I motivi non sono chiari. Le numerose cancellature presenti nel manoscritto mostrano a che punto Martucci non fosse convinto del valore dell’opera, o quantomeno della sua identità di brano vocale da camera: infatti, il materiale di Ballando! venne poi riutilizzato come base di un’opera per pianoforte.

Ritengo tuttavia che sia stato un vero peccato, in passato, il mancato accesso all’opera nella sua veste originaria. Ecco perché ho voluto studiarla e includerla nel volume da me curato, La Musica Vocale da Camera per voce e pianoforte, edito da Ricordi nel 2020 e dedicato alla musica vocale da camera di Martucci. Quando un compositore mette da parte una sua creazione senza, però, distruggerla del tutto, l’interprete-ricercatore deve sentirsi in dovere di ricostruirne la storia, anche per gettare nuova luce sulla sua produzione, sul suo pensiero e sul suo contesto storico e stilistico.

Il lavoro d’indagine e di studio dei manoscritti è davvero fondamentale per accendere un faro sul percorso creativo dei compositori e cercare di definirne il panorama estetico. In qualità di interprete, sento di avere una particolare responsabilità in tal senso; soprattutto in casi come quello di Ballando!, in cui l’accessibilità del manoscritto, non totalmente distrutto, implica la necessità della ricerca. Anche nell’ottica di un possibile lavoro discografico, non credo che l’assenza di Ballando! dal catalogo di Martucci debba costituire un deterrente. Al contrario, la pubblicazione rappresenta un ulteriore elemento di approfondimento del linguaggio del compositore; allo stesso tempo, perché una produzione del genere abbia un vero valore scientifico, è opportuno specificare a quali conclusioni sia giunto l’interprete-ricercatore durante il suo studio delle fonti.

Ritengo dunque importante ricordare l’esistenza di opere ritirate da un catalogo o la circolazione di versioni diverse della stessa opera, senza scelte aprioristiche, ma semplicemente al fine di permettere a chi ascolta di averne conoscenza.

 

In cosa si distingue la produzione della musica vocale da camera di Giuseppe Martucci rispetto ai compositori italiani suoi contemporanei?

 Martucci riporta la musica strumentale in Italia in un’epoca, la seconda meta dell’Ottocento, in cui i grandi compositori si dedicavano essenzialmente ai melodrammi. Una parziale eccezione è rappresentata da Francesco Paolo Tosti, autore di brani vocali da camera; tuttavia, la sua produzione non si estende al repertorio strumentale. Martucci, invece, ha scritto anche molta musica per trio, quartetto e quintetto, oltre a sinfonie, due concerti per pianoforte e orchestra e numerosi brani per pianoforte solo. In particolare, un elemento che distingue la musica vocale di Martucci dalle opere dei compositori italiani dell’epoca è la centralità conferita al testo poetico, valorizzato grazie alla parte strumentale, sulla stessa scia dei processi compositivi dei grandi liederisti tedeschi. Ciò emerge nelle composizioni che ho citato in precedenza, come La canzone dei ricordi, scritta a partire dall’omonimo poemetto lirico di Rocco Eduardo Pagliara, bibliotecario del Conservatorio di Napoli quando Martucci ne era il direttore; Pagine sparse, Sogno d’amore, Sogno di morte e Ballando! realizzate su liriche (a mio avviso magnifiche) di Corrado Ricci, famoso archeologo con il diletto della poesia; infine, i Tre Pezzi, raccolta costituita da tre brani per canto e pianoforte su testi di Giosuè Carducci.

Inoltre, la grande peculiarità di Martucci è quella di essere un musicista a tutto tondo: fra le sue numerose attività, spiccano anche quelle di direttore d’orchestra e di eminente pianista; a lui si deve, poi, la prima esecuzione in Italia di Tristano e Isotta di Richard Wagner. Attento a cogliere gli orientamenti stilistici del suo tempo, era animato da una vera e propria venerazione per Brahms: un aneddoto racconta un suo incontro con il grande compositore tedesco, in visita in Italia mentre Martucci era direttore del Conservatorio di Bologna; lo stesso Brahms riporta con sorpresa nelle sue lettere di come Martucci l’abbia accolto con grande affetto, intonandogli i temi di alcune fra le sue più importanti opere sinfoniche.

Ciononostante, la discontinuità della figura e dell’opera di Martucci rispetto alla sensibilità musicale prevalente in Italia fra Ottocento e Novecento, e la sua scomparsa a un’età prematura, 53 anni, hanno limitato il suo pieno riconoscimento. Per tale ragione, dopo l’incisione del mio disco per Tactus nel 2006, ho deciso di approfondire la figura di questo compositore e contribuire alla conoscenza della sua musica. Fino all’edizione Ricordi del 2020, in cui ho racchiuso in un unico volume tutta la produzione vocale da camera di Martucci, le liriche del compositore erano sparse in diverse edizioni (fra cui l’edizione singola, pubblicata dalla stessa Ricordi, de La canzone dei ricordi), spesso introvabili sul mercato e accessibili solamente in alcune biblioteche o tramite il Centro Studi Martucciani. Tale dispersione ha inciso profondamente sulla mancata diffusione di questo corpus e l’edizione che ho recentemente curato vuole, per l’appunto, colmare questa grave lacuna. Una più incisiva e capillare presentazione della pubblicazione renderebbe senz’altro maggiore giustizia alla figura del compositore, che merita di essere più ampiamente conosciuto ed eseguito.

 

Oltre alla sua attività da interprete e ricercatrice, lei è anche impegnata da diversi anni come docente di Pianoforte e di Repertorio vocale da camera. In che modo la sua inclinazione alla ricerca ha avuto un impatto sull’insegnamento?

 Nell’insegnamento, sia del Pianoforte che del Canto, ho sempre una particolare attenzione verso le fonti autografe dei brani e stimolo costantemente i miei studenti ad utilizzare quanto più possibile le edizioni urtext, tenendo sempre in considerazione il commento critico fornito. Inoltre, ho condotto seminari sulla comparazione delle diverse edizioni di un brano e il loro raffronto con l’autografo.

Da qualche anno, tengo il laboratorio “Parlare bene e (è) cantare bene, dizione e pronuncia per un buon Canto”, frutto della ricerca fatta durante la preparazione della mia tesi finale del Corso di Vocologia artistica. L’obiettivo fondamentale del laboratorio è far acquisire agli studenti una consapevolezza del rapporto pneumo-fono-articolatorio, del punto di pronuncia della consonante, al fine di ottenere un buon canto, fluido e agile da realizzare, e al contempo pienamente intelligibile per l’uditore. Infatti, molti cantanti inseriscono, spesso erroneamente, delle semivocali fra una consonante e l’altra; tuttavia, è attraverso il lavoro sulle peculiarità delle consonanti, facendole “scivolare” fra una vocale e l’altra, che si ottiene il belcanto. È un metodo che poggia su una lunga tradizione di insegnamento, che fa riferimento a Nicola Vaccaj e Manuel García, e che sono felice di presentare con frequenza presso i Conservatori italiani.

 

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