di Salvatore Sclafani
Jed Distler è un musicista raro. Non solo per la sua vena creativa di compositore e la competenza versatile al pianoforte, in cui è capace di orientarsi agevolmente dal repertorio classico più tradizionale, al jazz e allo stride piano; ma anche per la sua generosità nell’insegnare e raccontare musica. Richiesto come docente nelle masterclass e come membro di giuria in prestigiosi concorsi, è anche l’apprezzato ideatore e conduttore del programma Between the Keys, per la radio statunitense di musica classica WWFM. TGmusic.it l’ha intercettato a Bruxelles, durante la sua tournée europea che lo ha visto impegnato il mese scorso.
Lei vive e lavora principalmente negli Stati Uniti, ma visita spesso il Vecchio Continente. Quali eventi l’hanno portata in Europa, questa volta?
Sono reduce da un tour inglese e belga, che ho affrontato lo scorso febbraio. Dodici giorni particolarmente intensi.
In Gran Bretagna, sono stato ospite della Chetham’s School of Music di Manchester. Murray McLachlan, capo del dipartimento Tastiere, mi ha invitato a dare lezioni a bambini e ragazzi dai 7 ai 18 anni: lezioni di gruppo in cui gli alunni suonavano uno alla volta, a turno, per alcuni minuti. Ciò rendeva particolarmente intenso e dinamico il lavoro pedagogico, e allo stesso tempo interessantissimo. È stato davvero un piacere incontrare ragazzi di questo talento, mi hanno impressionato.
Come ha organizzato le lezioni con un pubblico così vario?
Abbiamo lavorato prevalentemente con due pianoforti e ho proposto diversi esercizi di improvvisazione, seguendo criteri come l’applicazione di specifiche tessiture, di gesti strumentali, o di un periodo stilistico. Apparentemente, queste potrebbero sembrare delle limitazioni, ma costituiscono in realtà degli elementi capaci di conferire maggiore libertà all’improvvisazione. È stato anche organizzato un concerto sulla storia del pianoforte jazz, in cui ho descritto e interpretato alcuni brani fondamentali del repertorio.
Non era però il suo solo impegno nel Regno Unito.
È vero! A Londra, ho incontrato Christopher Axworthy, con cui collaboro volentieri da tempo: apprezzo sinceramente la sua Keyboard Charitable Trust. Al Royal College of Music, poi, ho fatto parte della giuria del concorso Chappell Medal Piano Competition 2024. La vincitrice della medaglia d’oro, Magdalene Ho, di Singapore, è stata straordinaria: sono rimasto colpito dalla sua interpretazione delle Davidsbündlertänze di Robert Schumann e della Sonata per pianoforte n. 7 di Aleksandr Skrjabin.
Dopo il concorso a Londra mi sono spostato in Belgio, qui per altri due importanti appuntamenti.
Ce ne parla?
Anche a Bruxelles ho proposto un concerto sulla storia del jazz negli Stati Uniti, organizzato dalla pianista Giusy Caruso, docente al Royal Conservatoire Antwerp, e ricercatrice artistica di grande esperienza. Nella capitale belga ero stato invitato dalla pianista Eliane Reyes, concertista di respiro internazionale, docente di Pianoforte al Conservatoire royal de Bruxelles, per una masterclass nello stesso Conservatoire. Sono stato felice di lavorare con gli ottimi e preparati studenti di questa prestigiosa istituzione.
A cosa si sta dedicando, adesso che è rientrato negli Stati Uniti?
Da poco, sono diventato direttore artistico della serie Salon Concerts at Klavierhaus (New York) e desidero creare ponti con altre associazioni e stagioni concertistiche. Credo che la comunità pianistica possa beneficiare dall’essere informata di ciò che gli altri realizzano, e che sia produttivo creare legami e contatti utili a sostenersi reciprocamente. Ritengo fondamentale costruire dei ponti di comunicazione e collaborazione, sfruttando anche il principio del live streaming: non una registrazione, non un concerto dal vivo, ma un ibrido efficace che contiene aspetti di entrambi. Sarebbe estremamente costruttivo riflettere su come sfruttare al meglio questa possibilità, pensando alla produzione di espressioni artistiche di valore. Si tratta di una nuova forma d’arte e stiamo cercando ancora di definirne i criteri e la funzione; in ogni caso, ci sta permettendo di fare evolvere i nostri bisogni: dal punto di vista artistico, è uno degli esiti più positivi e fruttuosi della pandemia, un’idea nata per reagire all’inesorabile cancellazione dei concerti che ha segnato quell’epoca.
Quando ricordo questo periodo, non posso non pensare al caro Joseph Patrych, abilissimo tecnico del suono recentemente scomparso, purtroppo. Aveva una grande esperienza nel realizzare registrazioni per pianisti che intendevano presentarsi ai concorsi; nel tempo, è diventato una sorta di mentore. È stato proprio lui a iniziare, a margine di quella situazione, la serie Salon Concerts at Klavierhaus attraverso la diffusione in streaming di concerti pianistici, collaborando con il proprietario della Klavierhaus, Sujatri Reisinger.
Adesso, la stagione concertistica si trova in una fase transitoria e sto cercando di definire la cadenza dei prossimi concerti. Non ho la stessa formazione tecnica di Joseph, ma la mia esperienza di pianista e conduttore radiofonico mi hanno reso un talent scout, in qualche modo: mi piace ascoltare i giovani pianisti e se posso sostenerli, lo faccio volentieri.
A proposito della sua formazione e del suo percorso musicale, lei si è fatto conoscere soprattutto come pianista jazz, per farsi poi apprezzare anche come interprete di musica classica.
Ho cominciato molto giovane con il jazz e l’improvvisazione. Li trovavo dei linguaggi molto semplici e intuitivi. Da adolescente, ho anche intrapreso lo studio della composizione e poi, durante l’università, ho iniziato lo studio del pianoforte classico.
Non ho mai davvero affrontato una carriera di pianista jazz fino al 2011, quando purtroppo la mia prima moglie morì. Decisi allora di ritornare alle mie origini e alle mie radici jazz, anche se è inevitabile che nel mio modo di suonare si manifestino delle influenze legate alla mia formazione di compositore e di pianista classico. Ma non posso affermarlo con certezza: sono gli ascoltatori a dirlo, io mi limito a suonare in maniera spontanea.
Le sue trascrizioni di assoli per pianoforte jazz di Art Tatum e Bill Evans hanno sempre riscosso molto successo. Come sono nate?
Sono dei lavori che mi vennero commissionati. Un’esperienza che si rivelò utilissima per la mia attività di musicista. Non fu semplice trascrivere questi brani e all’epoca, non si utilizzava ancora il computer. In pratica, dovetti riflettere, inventare quasi, il modo più semplice e fluido per realizzare le trascrizioni. Fu una sfida davvero impegnativa: usavo diverse registrazioni degli stessi brani per confrontarli a orecchio, cercando poi di ricostruirli; ecco, scomporre gli elementi per poi ricomporli: in fondo, tutti noi musicisti lavoriamo in questo modo quando scriviamo o prepariamo l’esecuzione di un brano.
Il suo attuale progetto di comporre 1827 bagatelle per il 2027, a 200 anni dalla scomparsa di Beethoven, rappresenta sicuramente un’altra sfida importante. Come ha concepito quest’idea? A che punto è la sua realizzazione?
Ah, è un progetto che definirei…curioso, pazzo! Nel 2015, la pianista Susanne Kessel ebbe l’idea di chiedere ai compositori, fra cui il sottoscritto, di scrivere dei brani in omaggio a Beethoven; per la precisione, 250. Si trattava di un lavoro in vista del 2020, in occasione del 250° compleanno del compositore. Così, mi sono detto: perché non scrivere anche delle bagatelle in ricordo della sua scomparsa, avvenuta nel 1827, per l’appunto? Ho creato allora un database con tutti i pianisti che ho incontrato in vita mia, e ho cominciato a scrivere delle bagatelle per ognuno di loro: sono composizioni di diversi stili e durata. Dal punto di vista della loro concezione, sono stato molto ispirato dal compositore Valentyn Syl’vestrov. In ogni caso, la forma della bagatella è molto versatile e può essere, in fondo, qualunque cosa. Le ho immaginate come un dono per la comunità dei pianisti: una vasta collezione di pezzi, da suonare secondo l’ordine desiderato.
Lei è un ospite ormai abituale di Cremona Musica. Cosa sta preparando per l’edizione 2024?
Sì, e ne sono entusiasta. Fra le varie attività, mi dedicherò all’arrangiamento di Arnold Schönberg per pianoforte a quattro mani del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. Suonerò con Martina Frezzotti, pianista eccellente, di cui ho apprezzato le incisioni. Sono davvero contento di lavorare insieme a lei a questo progetto.
Between the Keys, il programma radiofonico da lei ideato e prodotto, e che lei stesso conduce, riscuote costantemente grande successo. Qual è il segreto di questa formula vincente?
Ho cominciato nel 2015, in maniera quasi inattesa. Dissi al direttore della stazione radio di musica classica WWFM che avrei sempre voluto condurre un show radiofonico. Gli illustrai la mia idea, pensavo a un programma con una struttura varia e che alternasse registrazioni storiche, presenza di ospiti o focus sui repertori pianistici. Between the Keys va avanti da allora. A volte propongo anche puntate tematiche su un’opera in particolare, come quella incentrata sugli studi di Chopin, ognuno interpretato da un pianista diverso; oppure, episodi in cui confronto interpretazioni diverse di una stessa opera.
Amo la libertà di cui dispongo nel condurre Between the Keys, anche se la uso con responsabilità, avendo sempre bene a mente i limiti di tempo e il pubblico che mi ascolta: in tal senso, è importante non essere eccessivamente complesso. E aggiungo che non basta avere una speciale inclinazione, del “talento”. Nulla è scontato: per dar luogo a risultati di qualità, bisogna essere proattivi. Certamente, fa piacere quando tali frutti arrivano spontaneamente, ma in genere è necessario un lavoro meticoloso. Tuttora, nel mio lavoro, verifico sempre ciò che produco: per esempio, riascolto attentamente la registrazione di ogni episodio prima di mandarlo definitivamente alla stazione radio.
Cosa rappresenta per lei Between the Keys?
Uno dei miei obiettivi principali è promuovere gli artisti che non sempre hanno spazio alla radio: penso a tanti giovani italiani, ma non solo. Pianisti molto talentuosi e che meritano attenzione.
Recentemente, ho curato una puntata su Dino Ciani: un grande pianista del passato, di cui non si parla spesso; specialmente, nelle radio degli Stati Uniti.
Ad oggi, ho registrato più di 450 puntate, circa una a settimana in media. Spero di arrivare presto a 500! Gli episodi sono accessibili in webcast e ognuno di essi è corredato da una breve presentazione scritta, in cui indico le fonti di cui mi sono servito per realizzarlo. Si tratta di un lavoro che implica una costante, lunga ricerca, ma ne sono felice: è una via privilegiata per la condivisione dei tesori musicali.
Ed è proprio questo ciò che mi sta più a cuore, in tutte le mie attività. Quando compongo, suono o faccio radio, mi rende felice lavorare con la musica e condividerla.
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