Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi: dalla tragedia “Die Jungfrau von Orleans” (La Pulzella d’Orléans) di Friedrich Schiller.

0

di Smeralda Nunnari

«Nessuna Giovanna ha mai avuto musica più filosofica e più bella. La terribile introduzione, il magnifico pezzo Maledetti cui spinse rea voglia, sono due cose da far trasecolare ogni pover’uomo. I cori de’ demoni sono originali, popolari, veramente italiani; il primo un valzer graziosissimo, pieno di motivi seducenti, che sentito due volte si canta subito; il secondo è una musica di esultanza diabolica, una musica che fa rabbrividire e tremare; insomma sono cose divine; in quell’opera vi saranno tutti i generi di musica: il teatrale, il religioso, il marziale, ecc.» (Emanuele Muzio, lettera ad Antonio Barezzi, 9 dicembre 1844).

 

Giovanna d’Arco è la settima opera di Giuseppe Verdi, composta negli anni, che lo stesso autore definisce “di galera”, ossia, un periodo d’incessante produzione artistica, alla frenetica ricerca del primato in campo operistico. Il libretto, scritto da Temistocle Solera, viene tratto parzialmente dalla tragedia Die Jungfrau von Orleans (La Pulzella d’Orléans), di Friedrich Schiller, nel 1801. Opera sublimata nel salotto di Clara Maffei, moglie di Andrea Maffei, traduttore di diverse opere del poeta tedesco, poste, successivamente, in musica dal compositore di Busseto.

La genesi di Giovanna d’Arco, commissionata dall’impresario della Scala di Milano, Bartolomeo Marelli, viene ricostruita dal giornale La Fama, il 18 novembre del 1844, dove si riporta quanto scritto da Emanuele Muzio ad Antonio Barezzi, suocero di Verdi, nel descrivere la tempesta ispiratrice del dramma lirico, che sorprende il compositore di rientro a Milano, dopo l’esecuzione dei Due Foscari a Roma: «il signor Maestro sta bene, eranvi i sui amici ad aspettarlo all’ufficio delle diligenze: questi erano Maffei, Toccagni, Pasetti, Ricordi, Pedroni […] nel difficile e periglioso passaggio dell’alpestre gola del Furlo nella notte altissima, fra la piova e la procella, una frana d’improvviso rovinò sulla strada poco prima che vi giungesse la diligenza. Fu allora mestiere soffermarsi perché intercluso il sentiero. Frattanto Verdi posseduto mai sempre la mente dalla sua Giovanna, indomito ai terrori ed agli strepiti della bufera, abbandonandosi ai voli dell’immaginazione, e trova fra il disordine della natura in tempesta […] il concetto musicale da vestire l’introduzione del suo nuovo lavoro».

Nell’opera di Verdi, messa in scena, per la prima volta, il 15 febbraio 1845 alla Scala, i ventisette personaggi di Schiller si riducono a cinque e gli atti che la strutturano passano da cinque a tre, con un prologo riservato ai principali protagonisti: Giovanna, Carlo VII, re di Francia e Giacomo, padre dell’eroina. Ma, se la jungfrau del poeta tedesco s’innamora dell’affascinante nemico inglese, il capitano Lionel, il musicista, con il suo librettista mettono al centro del suo cuore, non l’oppressore, ma il supremo rappresentante della patria. Inoltre, il conflitto con il padre, nella verdiana rappresentazione, contempla un ravvedimento paterno del proprio errore, contrariamente alla tragedia schilleriana.

Prologo: A Domrémy, durante la guerra dei Cent’anni, Carlo VII annuncia l’intento di smettere di combattere e lasciare il suo trono al re d’Inghilterra. Egli racconta di un sogno, in cui gli è apparsa la Vergine, in una foresta, invitandolo a deporre la spada e l’elmo. Un coro gli ricorda che, la foresta di Domrémy, durante la notte, si popola di demoni, ma Carlo decide di recarsi ugualmente. Nella foresta vi è, in un umile ovile, l’abitazione di Giacomo e Giovanna. La giovane sconfortata, per la sua impotenza a combattere, mentre la Francia sta per essere sottomessa dagli inglesi, si reca a pregare davanti all’immagine della Vergine. Il padre Giacomo la segue, furtivamente, convinto che la figlia sia posseduta da spiriti maligni. In effetti, Giovanna, assopitasi, viene tentata dalle potenze infernali a lasciarsi avvincere dalle gioie giovanili. Mentre, una schiera di spiriti eletti le annuncia che il suo desiderio sta per realizzarsi. Ella potrà, finalmente, combattere, in cambio della rinuncia a qualsiasi affetto profano: «[…] Sorgi! I celesti accolsero / la generosa brama!… / Francia per te fia libera, / ecco cimiero e lama. / Lévati, o spirto eletto, / sii nunzio del signor… / Guai se terreno affetto / accoglierai nel cor! […]». Ed ecco, Giovanna vede Carlo, le sue armi deposte. La giovane, lo convince, invece, a seguirla nella battaglia. Carlo, affascinato, le obbedisce. Giacomo, che ha assistito alla scena, tenta invano di fermare la figlia.

Atto I: Nel campo inglese, dopo le tante vittorie, i soldati, con il comandante Talbot, piangono la sconfitta subita, da parte dell’esercito francese, guidato da Giovanna. Giacomo, convinto che la figlia sia stata disonorata da Carlo, promette di consegnare loro, la colpevole di tanta disfatta. Nel giardino della reggia di Reims, dopo i festeggiamenti per la vittoria, Giovanna considera di tornare alla vita di sempre, nella foresta. Ma, Carlo vorrebbe che la giovane rimanesse al suo fianco. Giovanna rifiuta, pur ammettendo di ricambiare il suo amore. Ed ecco, gli spiriti celesti a ricordarle di mantenere fede alla promessa data. Intanto, Carlo, non vuole cedere: egli riceverà la corona, soltanto, dalle mani di Giovanna. Gli spiriti malvagi esultano, contro l’anima della giovane guerriera.

Atto II: Nella piazza di Reims, tra la folla esaltante, al seguito di una regale processione, vi sono Carlo e Giovanna. Tutti entrano in chiesa per l’incoronazione. Giacomo attende, affranto, la fine della cerimonia. Il re esce dalla cattedrale, seguito da Giovanna, e annuncia che sarà dedicata una chiesa, in onore dell’eroina, come per San Dionigi: «[…] Omai / due patroni ha la Francia. ~ Al gran Dionigi / fean sorger monumento i padri nostri; / ne imiterem l’esempio… / diva donzella, avrai tu pure un tempio. […]». Improvvisamente, Giacomo accusa la figlia, davanti a tutti, di rapporti con il demonio. Giovanna, consapevole del proprio amore terreno, non riesce a discolparsi ed il padre la trascina verso il rogo purificatore, preparato dagli inglesi.

Atto III: Giovanna viene imprigionata in una rocca inglese. Dalla sua cella, ode i suoni della battaglia ed immagina il re circondato dalle truppe nemiche. Entra Giacomo, al quale Giovanna rivolge una preghiera: chiede che le sue catene siano spezzate. E confessa di aver amato per un solo istante Carlo, ma di essere stata, sempre, fedele a Dio. Finalmente, Giacomo, comprende la purezza della figlia, le infrange le catene, lasciandola libera di combattere contro gli inglesi. La giovane si addentra nella battaglia, indomita lotta contro il nemico e riesce a salvare la vita al re. Ma viene ferita mortalmente. I francesi, ormai, hanno vinto, gli inglesi sono stati scacciati. La giovane, prima di spirare, invoca il perdono per il padre. L’eroina, afferrata la bandiera, muore, compianta da tutti. Un coro di spiriti eletti la conduce alla Vergine Maria.

Tra gli applausi del pubblico e le troppe reticenze della critica, dopo l’esordio scaligero, l’autore comunica telegraficamente all’amico Francesco Maria Piave: «L’opera ha avuto un esito felice ad onta di un immenso partito contrario. Ma una cosa è certa: è la migliore delle mie opere senza eccezione e senza dubbio».

L’eroina medievale, che combatte vittoriosa nel campo di battaglia, sacrificando la sua vita per la propria patria, consente al maestro di Busseto ed al suo librettista, entrambi sostenitori del Risorgimento, un sagace parallelismo con il coraggio delle donne italiane, che partecipano attivamente nelle cospirazioni e nelle lotte. Verdi offre, al popolo, attraverso il suo dramma, celatamente, l’opportunità di rispecchiare il proprio stato, i propri sentimenti, il desiderio di liberarsi dal gioco della dominazione straniera, con l’intento di sfuggire all’inflessibile censura austriaca. Ma, la radicale riduzione verdiana del mito leggendario di Giovanna d’Arco, che abolisce il processo, il rogo e la fa innamorare del proprio re, scatena la dura ostilità della critica, che tanto amareggia il compositore. Inoltre, la poca accuratezza di Marelli, verso le scenografie, la qualità delle esecuzioni e la scoperta dei suoi furtivi accordi sui diritti d’autore, con l’editore Ricordi, portano entrambi ad un aspro litigio. E la Scala dovrà aspettare venticinque anni, per rivedere il Maestro, con il suo Otello.

La storia di Giovanna d’Arco, santa o strega, femminista ante-litteram, dichiarata patrona di Francia, venerata come protettrice dei martiri e dei perseguitati religiosi, ha affascinato e continua ad ispirare scrittori, musicisti, pittori, scultori e registi. Molte sono le opere d’arte che raccontano l’eroina d’Orleans. Ma, indubbiamente, il dramma lirico verdiano, tra aderenze ed inaderenze storiche, riesce a trascrivere, magistralmente, nelle pagine della sua musica, il conflitto di Giovanna: la sua doppia anima di pastorella e guerriera, scissa tra il sacro ed il profano, contesa da potenze celesti e demoniache ed, infine, il trionfo dei sacri e forti ideali, in un epilogo d’intenso misticismo lirico.

 

© Tutti i diritti riservati.

No comments