Gli eredi della tradizione napoletana. Intervista a Salvatore Mancino della Liuteria Anema e Corde.

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di Elda Ciampi

Il Maestro liutaio Salvatore Mancino, 42 anni, di Monte di Procida, lavora da vent’anni nella bottega “Anema e Corde”, liuteria che sorge al numero 30 di via Port’Alba, a Napoli. Insieme al fratello Pasquale, e in compagnia del cane Charlie, costruisce strumenti di alto artigianato nel solco della tradizione partenopea. Veterani della fiera internazionale lombarda, anche quest’anno saranno protagonisti ospiti di Cremona Musica International Exhibitions and Festival.

 

Quando è nata la liuteria Anema e Corde?

Avevamo 20 anni quando abbiamo aperto bottega, nel 2002/2003; nel tempo, abbiamo avuto la possibilità di viaggiare ma anche di conoscere la liuteria napoletana. In particolare stringemmo amicizia con un vecchio maestro che lavorava con un’azienda di Calace che si occupava di mandolini, ed è per questo che abbiamo iniziato a dedicarci ai plettri e agli archi. I primissimi anni sono stati molto intensi, aprire subito bottega fu un azzardo; è stata dura, ma dopo tre anni eravamo già in fiera a Cremona. Inoltre siamo insegnanti di liuteria in una scuola superiore di Napoli; è una cosa importante perché ci sono solo due corsi di liuteria in Italia che fanno parte della scuola pubblica, quello di Napoli e quello di Cremona. Quando eravamo studenti non c’erano ancora realtà simili, avremmo desiderato un’opportunità del genere.

 

Quali strumenti realizzate nella vostra liuteria?

Per quanto riguarda i plettri ci dedichiamo a mandolini, mandole e mandoloncelli; violini, viole e violoncelli, invece, per gli strumenti ad arco. Per ora non costruiamo contrabbassi, ma stiamo avviando collaborazioni per dei progetti che li includano, ad esempio con la storica liuteria Sirleto. Ma costruiamo anche chitarre acustiche, classiche ed elettriche.

 

Quali sono gli elementi che incidono sulla qualità di uno strumento?

C’è una profonda ricerca alla base. Noi abbiamo cominciato con il restauro di strumenti quindi abbiamo potuto visionare, aprire e guardare il loro interno; ci siamo basati sul lavoro fatto a monte, nel passato. Basta girarsi indietro e guardare la storia della liuteria: tanto è stato già fatto, oggi si va avanti con delle modifiche che all’esterno non risultano molto evidenti, eppure sono importanti dal punto di vista strutturale. Ovviamente la scelta dei legni deve essere quella giusta, noi partiamo da un legno di almeno 10/15 anni. Inoltre, quando si lavora uno strumento a un determinato livello, sai che non tutti i giorni sono adatti a lavorare, ad esempio quando non c’è la giusta umidità. La colla è quella animale, le vernici sono naturali e provengono da ricette del Settecento che, con alcune modifiche, diventano tue. Ci sono tante piccole cose che, sommate, fanno uno strumento di qualità. Venendo da uno studio del passato sappiamo che quello strumento sopravviverà e noi vogliamo che questi strumenti, come dei figli, ci sopravvivano e diano una testimonianza.

 

C’è uno strumento che richiede più tecnica nella lavorazione?

Degli strumenti che trattiamo, il violino è certamente complesso, la chitarra altrettanto, ma per altri motivi. Forse quello tecnicamente più difficile da costruire è il mandolino; realizzare una cassa perfetta al mandolino è molto più complesso di quanto sembri. Oggi purtroppo ci sono strumenti che hanno più valore di altri, che non è dato dalla difficoltà della costruzione, ma è solo un valore di mercato: il mandolino vale meno del violino, pur essendo più difficile da realizzare, ad esempio, [abbaia il cane Charlie] lui ci accompagna da 13 anni, non ha imparato ancora a fare i violini, però il suo contributo lo dà [ride].

 

In che modo influisce la tradizione napoletana sulla costruzione dello strumento?

Facciamo riferimento a importanti famiglie napoletane per tutti i nostri strumenti. Per gli archi guardiamo in particolare alla famiglia Gagliano e Postiglione, perché sono liutai che hanno fatto la storia qui a Napoli, ma che sono molto apprezzati in campo internazionale; sono autori che fanno gola anche a Cremona. Abbiamo una storia importante che cerchiamo di far rivivere nelle nostre creazioni e in quello che facciamo; realizziamo anche modelli personali che richiamino la tradizione della nostra città. Napoli è una culla culturale importantissima e, secoli fa, era un ambiente liutario eccezionale. Il mandolino napoletano, ad esempio, ha una capacità di emozionare che a mio parere sfugge ad altri tipi di mandolino, magari dotati di maggior suono e volume.

 

Da quanto tempo la vostra liuteria è presente a Cremona Musica e quali opportunità di crescita vi ha dato questa fiera internazionale?

Sono ormai molto più di 10 anni, forse quasi 20, non li abbiamo calcolati [ride]. La fortuna, però, è stata quella di mantenere nel tempo la nostra presenza, passando dalle “retrovie” fino all’entrata. Adesso siamo addirittura il primo stand: quando si entra nel padiglione, sulla sinistra, ci siamo noi ed è una bella soddisfazione.

Le opportunità di crescita le abbiamo costruite soprattutto qui con il lavoro, però la fiera di Cremona ci ha aiutato a incontrare tanti musicisti e commercianti che, per vie traverse, ci avevano già conosciuto; vederci ogni anno in fiera è stata un’ulteriore conferma. Cremona Musica è un’occasione che ci permette di ampliare i nostri orizzonti e di portare altrove un pezzetto del nostro lavoro – e della nostra città.

 

Cosa esporrete a Cremona Musica 2023?

A volte capita che ci sia uno strumento “protagonista” (perché maggiormente decorato, più appariscente a livello estetico), però in generale diamo spazio in egual modo a chitarre, violini e mandolini. Di solito non esponiamo tanti strumenti, perché l’alta qualità che ricerchiamo necessita di legni e colle specifici, e quindi di tempi diversi. Inoltre, portarne molti potrebbe dare l’impressione di essere troppo meccanici e poco creativi.

 

Per concludere, cosa si prova nel veder suonare un proprio strumento?

Il nostro non è solo un lavoro, è una scelta di vita. Creare da zero, fare qualcosa di manuale aiuta a tornare nella realtà: la creazione è qualcosa che ti avvicina a Dio. Riuscire a creare qualcosa dal nulla e vedere che quell’oggetto suona, e magari te lo suona un bravo musicista – e allora ti puoi anche mettere a piangere. È una bella esperienza che richiede passione e pazienza.

 

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