di Gabriele Cupaiolo
Firenze, città dove hanno sede alcune delle istituzioni concertistiche più prestigiose d’Italia, dagli Amici della Musica per il repertorio cameristico al Maggio Musicale Fiorentino e l’Orchestra della Toscana per quello sinfonico, riserva delle piacevoli sorprese anche al di fuori dei canali più conosciuti.
Sabato 3 ottobre abbiamo assistito al concerto dell’Orchestra da Camera Fiorentina, una compagine attiva da 30 anni nelle chiese e musei della città, che vanta anche collaborazioni con artisti di grande prestigio, basti citare il violinista-modello David Garrett la cui “prima volta” a Firenze è stata proprio con questa orchestra.
Il concerto ha avuto luogo in una perla nascosta nel centro di Firenze (Auditorium di Santo Stefano al Ponte) che si rivela al pubblico con sorpresa tra piazza della Signoria e Ponte Vecchio. Seppure non brilli per l’acustica (troppo ridondante anche se “aggiustata” da moquette e drappeggi vari) che tradisce le sue origini di edificio di culto, rappresenta una cornice suggestiva che ricorda le più famose chiese di Santa Croce e Santa Maria del Fiore.
Il programma prevedeva il quarto concerto per pianoforte di Beethoven, op. 58 in Sol maggiore nella versione per soli archi realizzata da Vinzenz Lachner, solista la giovane e brillante Giulia Rossini, e il Concerto per archi di Nino Rota.
Direttore il Maestro Andrea Vitello, una bacchetta avvezza al repertorio italiano del ‘900, da poco tornato da Sofia dove, per rimanere in tema, di Rota ha eseguito per la prima volta la Sonata per orchestra da Camera.
Giulia Rossini si è dimostrata una pianista solida, con una scelta di tempi volta più a privilegiare l’espressività che il virtuosismo; scolpisce mirabilmente le monumentali frasi beethoveniane e riesce a conferire la giusta tenerezza ai passaggi più introspettivi, di cui il concerto il Sol maggiore abbonda in particolare nel primo e nel secondo movimento.
Rossini è ben supportata dall’orchestra e dal maestro che le permettono di suonare con libertà e varietà espressiva i differenti caratteri di questo concerto, culminando nel Presto conclusivo in cui qualche difficoltà di intonazione – dovuta anche all’arrangiamento che ci è sembrato non troppo efficace in più di un passaggio – passa quasi inosservata grazie allo slancio dell’insieme. La Rossini regala due bis, un virtuosistico Chopin e un intimissimo Liszt/Schumann, per la gioia di un pubblico entusiasta.
La vera sorpresa della serata è stata il Concerto per Archi di Nino Rota, un brano concepito a mo’ di suite in quattro movimenti in cui l’autore denuncia qualche influenza da parte di Shostakovich e Prokofiev senza rinunciare alla cantabilità propriamente italiana che lo ha reso famoso nel mondo.
Andrea Vitello ottiene dall’orchestra dinamiche finemente differenziate e fraseggi espressivi e mai banali, evidenziando ora i passaggi più nascosti delle voci interne, ora le melodie più scoperte, sviluppando il discorso di Rota con periodi di lungo respiro che denotano una profonda conoscenza della partitura.
L’Aria – movimento lento della suite – offre momenti toccanti nel dialogo tra violini primi e violoncelli, mentre il finale (“Allegrissimo”) è affrontato con coraggio risultando in una esecuzione incalzante e a tratti forsennata, in cui qualche sbavatura sull’assieme è stata compensata dal risultato complessivo che ha entusiasmato il pubblico spingendo il direttore a concedere il bis proprio di quest’ultimo movimento.
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