di Smeralda Nunnari
«Di tutte le mie creature, il Fidelio è quella la cui nascita mi è costata i più aspri dolori, quella che mi ha procurato i maggiori dispiaceri. Per questo è anche la più cara; su tutte le altre mie opere, la considero degna di essere conservata e utilizzata per la scienza dell’arte».
(Ludwig van Beethoven)
Tra le ben 228 opere composte da Ludwig van Beethoven, solo 138 sono state catalogate. Tanta genialità costituita da sonate, sinfonie, concerti, quartetti per archi e messe, conta un’unica opera teatrale: il Fidelio (Op. 72b), dove l’artista di Bonn mette in scena le sue grandi aspirazioni, che immergono la sua musica negli avvenimenti del suo tempo, all’alta ricerca di valori universali e atemporali, in accordo con gli ideali di «Liberté, Egalité, Fraternité» della Rivoluzione francese.
Beethoven resta affascinato da Léonore ou l’amour conjugal del drammaturgo francese Jean Nicolas Bouilly, scritto per il musicista, Pierre Gaveaux. La storia si basa su un fatto realmente accaduto, nella Francia degli anni del Terrore, conseguenti agli eccessi della Rivoluzione francese. Lo stesso autore, all’epoca pubblico accusatore del tribunale rivoluzionario di Tours, riporta l’episodio nei suoi Mémoires.
Il testo viene proposto al compositore tedesco da Joseph von Sonnleithner, segretario del teatro di corte a Vienna ed estensore del libretto di Bouilly dai due ai tre atti. Tra il 1802 e il 1805, Beethoven compone la partitura operistica della sua Leonore oder die eheliche Liebe, Op. 72 (Leonora ossia l’amor coniugale). Un Singspiel in tre atti, presentato il 20 novembre 1905 al Theater an der Wien, dove in una contrapposizione tra eroismo puro e potere reprobo, trovano esaltazione i temi, sempre, cari a Beethoven: la lotta contro la tirannia, l’affermazione della libertà e della giustizia. Ma l’eccessiva lunghezza dell’opera, davanti a una platea composta, in gran parte, da ufficiali francesi, in una Vienna invasa dalle truppe napoleoniche, contribuiscono a determinarne l’insuccesso.
Il 29 marzo 1806, sullo stesso palcoscenico, viene ripresentata, sempre, con il titolo Leonore (Op. 72a) una seconda versione ridotta a due atti, su libretto revisionato da Stephan von Breuning, ma, neanche, questa rappresentazione riesce a incontrare un acclarato successo. Dopo otto anni, Beethoven torna, ancora una volta, ad analizzare l’opera, avvalendosi della collaborazione del poeta Georg Friedrich Treitschke. Il 23 maggio del 1814, viene riproposta la terza versione, con notevoli modifiche e il nuovo titolo: Fidelio, oder die eheliche Liebe, al Kärntnertortheater (Fidelio, ovvero l’amore coniugale), riscuotendo un vero trionfo.
Quest’ultima edizione, in due atti, s’imporrà definitivamente, divenendo normalmente la versione, a tutt’oggi, eseguita. La vicenda, pur trattando un fatto d’attualità, viene retrodatata al XVII secolo, per cautela, ed ambientata nella prigione di stato a Siviglia. La trama narra la storia coraggiosa di una donna che non rinuncia a cercare il marito, dato per morto.
Atto I: Leonore, non credendo che il marito sia morto, si traveste da uomo, assumendo l’identità di Fidelio, per riuscire a lavorare nel carcere governato da Don Pizarro, avversario politico del marito. Per scoprire se Florestan è tra i prigionieri, fa in modo di ingraziarsi il carceriere Rocco. Ma finisce per entrare, involontariamente, nelle grazie anche della figlia, Marzelline che, invaghitasi arriva a disdegnare le attenzioni di Jaquino, giovane portiere. Intanto, Don Pizarro viene informato, con una lettera, dell’imminente ispezione del ministro di stato Don Fernando. E, temendo che questi possa scoprire tutta la verità sull’ingiustizia commessa, nei confronti di Florestan, fatto imprigionare illegalmente, con false accuse, per fini personali, ordina l’uccisione del prigioniero a Rocco. Quest’ultimo si rifiuta di eseguire tale delitto, ma promette di scavare la fossa per seppellirne il corpo. Fidelio, ascoltato il colloquio di nascosto, sospetta che il prigioniero da uccidere sia il marito. Allora, convince Rocco a fare uscire nel cortile tutti i prigionieri, ma Florestan non è tra questi. Non le resta che seguire il carceriere nelle segrete.
Atto II: Nei sotterranei del mastio, nella cella più oscura e angusta, un prigioniero, incatenato si lamenta per la perduta libertà, invocando, stremato e delirante, il nome: «Leonore». Fidelio cerca di rianimarlo con un po’ di vino e del pane, senza farsi riconoscere. Arriva don Pizarro per ucciderlo. Fidelio lo affronta, rilevandole coraggiosamente la propria identità. Il governatore, sorpreso, vuole ucciderli entrambi, ma la donna lo minaccia con una pistola. Uno squillo di tromba, che annuncia l’arrivo del ministro, impedisce al governatore di mettere in atto il suo piano, perseverando, ancora, nella sua bieca crudeltà. Don Fernando riconosce nel prigioniero, incatenato e pallido, l’amico Florestan, creduto morto. E consegna a Leonore le chiavi per liberare il marito, sciogliendolo dalle catene. Mentre don Pizarro viene condannato a morte, si eleva un coro di lode, verso l’eroina che, coraggiosamente, è riuscita a far riconquistare la libertà al suo amato Florestan, facendo trionfare giustizia e verità.
Le diverse elaborazioni del Fidelio e le quattro Ouvertures scritte da Beethoven, per il suo tormentato Singspiel: due nel 1804, una nel 1805 e un’ultima nel 1814, testimoniano il lungo travaglio compositivo di questo dramma musicale, che ha riscosso uno sconfinato e perpetuo successo. Il giovane Wagner, all’età di sedici anni, ancora incerto sulla scelta della propria carriera da intraprendere, tra pittore, letterato, scultore o architetto, mentre la musica appare solo un sogno lontano, dopo aver assistito a una rappresentazione del Fidelio, decide di diventare compositore. Il carattere assoluto dei valori espressi nell’opera teatrale ha permesso, inoltre, la sua trasposizione in ogni circostanza conflittuale: tra sopraffazione e libertà.
Jean Chantavoine (1877-1952), musicologo francese, nel suo libro su Beethoven rileva che: «Per la forza dell’accento drammatico, per l’esattezza della declamazione, per la libertà del dialogo musicale nelle sue scene d’assieme, Fidelio è, come lo hanno proclamato Liszt, Wagner, Rubinstein, il padre del dramma lirico moderno; la sua importanza nella storia della musica drammatica non è inferiore a quella dell’Eroica nella storia della sinfonia».
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