di Smeralda Nunnari
«Giacomo Puccini = Questo grande musicista nacque a Lucca l’anno……… e puossi ben dire il vero successore del celebre Boccherini. – Di bella persona e di intelletto vastissimo portò nel campo dell’arte italiana il soffio di una potenza quasi eco dell’oltralpica wagneriana…» (Giacomo Puccini, I Quaderni di appunti)
Giacomo Puccini nasce a Lucca il 22 dicembre 1858, in una famiglia che vanta una dinastia di prestigiosi musicisti, tutti maestri di cappella da varie generazioni e componenti della confraternita musicale di Santa Cecilia nella propria città. Rimasto orfano di padre, all’età di sei anni, viene spinto dalla madre a seguire la tradizione familiare. Frequenta il ginnasio e l’istituto musicale nella città lucchese. Inizialmente, s’iscrive nella classe di violino ma, poi, passa a quella di composizione. Nel contempo, suona l’organo nelle varie chiese locali. Ma la sua vera passione è il teatro: quando a Pisa, nel 1876, viene messa in scena l’Aida di Giuseppe Verdi, Giacomo si fa tutta la strada a piedi per assistere alla rappresentazione. Una borsa di studio concessagli dalla Regina Margherita, per intercessione della marchesa Pallavicini, su richiesta della madre, gli permette di continuare i suoi studi al conservatorio di Milano, con Antonio Bazzini e Amilcare Ponchielli, e diplomarsi in composizione.
Sono anni in cui il giovane artista conduce una vita da vero e proprio bohémien, tra ristrettezze economiche e incertezze, divide la sua camera con l’amico Pietro Mascagni, suo compagno di studi. Entrambi accomunati dagli stessi gusti musicali, apprezzano le opere di Wagner e, insieme, acquistano uno spartito del Parsifal, con la volontà di impadronirsi della tecnica dell’eccelso genio tedesco. Un periodo di amena miseria, dal quale riesce a uscire solo nel 1893, quando la sua opera Manon Lescaut, va in scena al teatro Regio di Torino, dopo l’esordio con Le Villi (1883) ed Edgar (1888), patrocinati da Giulio Ricordi, che segnano l’inizio del duraturo rapporto di amicizia tra il compositore e l’editore.
La partitura operistica di Manon Lescaut trova la sua genesi nel romanzo dell’abate Antoine François Prévost Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut (1731). Lo stesso soggetto aveva già ispirato la Manon Lescaut di Daniel Auber e la fortunata Manon di Jules Massenet. A Marco Praga, che gli fa notare il rischio di un confronto con l’opera di Massenet, Puccini, affascinato dal romanzo, risponde deciso: «Lui la sentirà alla francese, con cipria e i minuetti. Io la sentirò all’italiana, con passione disperata.»
Il dramma lirico di Puccini, che mette in musica la struggente storia d’amore tra Manon e Des Grieux, viene composto in quattro atti, fra l’estate del 1889 e l’ottobre del 1892. L’ardua elaborazione del libretto, definito dallo stesso Puccini “di tutti e di nessuno”, passa tra le mani di molti letterati, quali Marco Praga, Ruggero Leoncavallo, Domenico Oliva e viene completato da Giuseppe Giocosa e Luigi Illica.
Il primo atto si svolge ad Amiens, sul piazzale davanti a una locanda, dove un gruppo di studenti scherza sui temi dell’amore e della giovinezza. Uno tra loro, Renato Des Grieux, vanta la propria indifferenza verso l’amore: «L’amor? Questa tragedia, ovver commedia io non la conosco!». Intanto, giunge una carrozza dalla quale scendono Manon Lescaut, una ragazza destinata alla vita monastica e il fratello (nel libretto indicato con il solo cognome: Lescaut). Quando Renato vede Manon, è amore a prima vista. Non appena la ragazza rimane sola riesce a strapparle un appuntamento. Nel frattempo, uno degli studenti, Edmondo scopre il segreto progetto dell’anziano Geronte de Ravoir, anch’egli in viaggio nella stessa diligenza. Il vecchio e facoltoso banchiere ha messo gli occhi su Manon e sta complottando con l’oste per fare arrivare una carrozza e rapire la ragazza. Edmondo, dopo aver ascoltato il dialogo, informa Renato che così riesce a giocare d’anticipo e convincere Manon a fuggire con lui verso un’esistenza piena di grandi sentimenti, ma anche di stenti. Geronte medita vendetta.
Il sipario nel secondo atto si apre a Parigi, nel palazzo fastoso di Geronte. Manon si è stancata presto della miseria e delle difficoltà della vita, incontrate con lo studente. La vediamo davanti allo specchio, mentre si prepara per un ricevimento, pronta a ballare e a cantare. Ma l’amato Renato le manca, vorrebbe avere sue notizie. Apprende che il giovane frequenta ambienti equivoci e sfida la sorte ai tavoli da gioco. Renato, furioso, riesce finalmente a rintracciare Manon che lo riconquista. Ma, i due amanti vengono colti da Geronte, nel loro abbraccio segreto. Manon non si rende conto del pericolo, Renato la supplica di fuggire immediatamente. Il fratello precipitatosi al palazzo, l’avverte che Geronte l’ha denunciata. Manon non sa decidersi a lasciare tutte quelle ricchezze e, prima di fuggire col suo cavaliere, tenta di rubare alcuni gioielli dalla casa di Geronte. Le guardie la sorprendono e su di lei cade l’accusa di adulterio e furto.
È sera e il terzo atto si svolge a Le Havre, prigione in cui Manon è rinchiusa con altre donne. In attesa di essere imbarcata verso la Louisiana (allora colonia francese). Lescaut tenta invano di corrompere una guardia per liberare la sorella. Renato, nell’intento di evitare la deportazione dell’amata sguaina la spada, ma alla vista del capitano getta la sua arma. Al giovane resta solo la possibilità di supplicare, tra lacrime, il comandante della nave, affinché imbarchi anche lui. Riesce, così, a commuovere l’uomo e insieme salpano oltre oceano.
Il quarto e ultimo atto è ambientato in “una landa sterminata ai confini di New Orleans”. La bellezza di Manon, nella città americana, è stata fonte di altri guai, che hanno costretto Renato ad affrontare un duello e, adesso, fuggono. È sera e i due amanti vagano senza meta, né mezzi, stremati dalla fatica fino al più tragico dei finali. Manon, stanca e incapace di proseguire, finisce con il cadere al suolo. Il suo amante può soltanto gridare la sua disperazione, in un orizzonte senza vita, e ascoltare le ultime deboli parole della bella e voluttuosa Manon, mentre muore tra le sue braccia: «Le mie colpe… travolgerà l’oblio… ma… l’amor mio… non muore…»
Puccini, tra echi wagneriani e un’orchestra ricca di colori, riesce a dipingere l’anima della coppia scavando tra tratti psicologici diversi, in uno sviluppo avvincente, dove mostra tutti i risvolti contradditori. La sua eroina, timorosa e sincera, appare rassegnata a un destino impostole, accettando un futuro tra le mura di un convento, sembra aver rinunciato a ogni bene terreno. Improvvisamente, la stessa protagonista lascia, però, il posto a una donna che non rinuncia alla forza dell’amore, né all’avidità di denaro. Decidendo, così, del destino altrui e della sua tragica fine.
Un’opera sempre viva e attuale di grande impatto emotivo, capace di travolgere l’ascoltatore, in un linguaggio musicale universale di due protagonisti, entrambi specchi di vizi e virtù, che ha dato inizio al luminoso cammino artistico pucciniano, rendendolo stella nel firmamento operistico. Un grande successo internazionale, che dopo Manon Lescaut, si espande e accresce nelle opere successive: Tosca (1900) e Madama Butterfly (1904), La fanciulla del West (1910) e Turandot (1924).
Manon Lescaut, definita da Puccini «un’opera di pura passione», dopo quasi un secolo dalla sua morte, avvenuta a Bruxelles il 29 novembre 1924, resta, nella sua abile partitura, tra le più rappresentate e sublimate, alla vigilia del 2024 che festeggerà il centenario del geniale artista toscano.
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