di Gabriele Cupaiolo
Un appuntamento brioso e scintillante quello dello scorso 17 Novembre, il secondo del Centro Pecci Piano Festival a cura di Giovanni Nesi ed Edoardo Turbil: se Maurizio Baglini ci aveva fatto dono di visioni estasianti ma allo stesso tempo demoniache – Immaginare il Suono il nome dell’iniziativa -, a riportarci sulla terra è Andrea Bacchetti, figura poliedrica e nota ai grandi palchi fin dalla tenera età di 11 anni, dove già si destreggiava tra le sale del Conservatorio di Milano e la compagnia di Mike Bongiorno in televisione: di lì, una carriera che si è dipanata mantenendo e superando le aspettative d’infanzia, sia come ospite al Chiambretti Night, sul piccolo schermo in generale, che come solista sui maggiori palcoscenici mondiali.
Ancora una volta a fare da cornice al ricettacolo musicale è il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, che fino a inverno inoltrato ospiterà la mostra di Louis Fratino: molto intrigante e d’ispirazione, ancora una volta, l’idea di far compenetrare musica e dipinti, senza compartimenti stagni che rivendichino una separazione troppo netta delle arti.
Il programma Da Bach a Chiambretti: 4 secoli di musica in tv si apre con degli estratti dal secondo libro del Clavicembalo Ben Temperato di Bach: un contrappunto rigoglioso e fitto, quasi una selva di melodie, quello che dà il via a un intricato sentiero musicale, quasi ad avvisare l’ascoltatore che dovrà starsene vigile, attento a dove rivolgerà i passi (o meglio, le orecchie) nel mezzo della via che si profila. Superfluo menzionare la qualità del suono, caratteristica forte del maestro Bacchetti: anche laddove le voci da gestire diventino superiori a quattro (massima quantità in genere tollerata dalle fughe per strumento solo), il controllo di ciascuna non perde in intensità e chiarezza, facendo sì che le singole si staglino come vette aguzze nel cielo più limpido.
È questo il Maestrale, la buona premessa a una navigazione a piene vele: si va avanti con Domenico Scarlatti (Sonate k238 e k322), Schubert (Improvviso op. 142 n. 2), Debussy (Jimbo’s Lullaby e The Little Shepherd), Henry Mancini (Moon River), Villa-Lobos (O Polichinelo), Cimarosa (Sonata in do minore), Mozart (Fantasia k397), Liszt (Consolazione n.3), Morricone (Gabriel’s Oboe), Peterson (He has gone). I giochi di intrecci e rimandi – inaspettati e travolgenti – sono spiegati dal Maestro alla luce del suo stesso eclettismo, ragione per cui diventa più vivace intessere mentalmente suono e immagini, la retorica sonora e la sua narrativa, tra epoche e autori anche molto distanti tra di loro ma non per questo meno affini.
Una delle caratteristiche distintive di Bacchetti consiste nella sua capacità di affrontare ogni composizione con una visione unica e personale, riuscendo a portare alla luce sfumature e dettagli che spesso passano inosservati. La sua musicalità non è mai statica, ma vive di continuo sviluppo, come se ogni brano fosse un vero e proprio dialogo tra l’esecutore e l’ascoltatore: un dialogo in cui è permesso anche prendere confidenza l’uno con l’altro, quasi a spazzare via le maschere di esecutore e pubblico per qualche attimo.
Proprio la rottura della quarta – ma anche della quinta – parete permette all’ascoltatore sia di reinterpretare la Fantasia di Mozart in chiave teatrale, con tutti gli arpeggi iniziali intesi, dai minori ai diminuiti, come la preparazione strumentale che precede la messa in scena dell’opera, sia di accostarsi a veri e propri arrangiamenti di Morricone, Mancini e Peterson scritti di proprio pugno dal maestro Bacchetti: una modulazione dopo l’altra, dunque, prosegue un viaggio che ci ridà appuntamento al 1 dicembre, quando sarà Sandro de Palma a chiudere questa interessante e variegata rassegna che speriamo vedere riproposta per il prossimo anno.
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