di Gabriele Cupaiolo
Luogo: Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Data e orario: 27/10/2024, ore 11.
Queste le coordinate spazio-temporali di un evento che, nemmeno a farlo apposta, si è svolto a pochi passi dall’Exegi Monumentum Aere Perennius, opera figurativa chiaramente ispirata alla celebre sentenza oraziana e realizzata dai coniugi Poirier, la quale ormai da decenni si candida ad essere simbolo distintivo della città di Prato, quantomeno in materia artistica. A far concorrenza al solido monumento si è proposta la materia sonora, eterea ma non per questo evanescente, plasmata dalle mani del maestro Maurizio Baglini, che ha preso parte all’iniziativa “Immaginare il Suono,” contestualmente al programma Centro Pecci Piano Festival a cura del duo Giovanni Nesi-Edoardo Turbil.
Il programma, inserito con originalità in corrispondenza della mostra di Louis Fratino, si è aperto con musiche di Frédéric Chopin, alla volta di un sentiero ricco e visionario come pochi altri: Baglini impiega poco tempo a impregnare la culla riservatagli dal direttore del museo, Stefano Collicelli Cagol, delle sonorità che contraddistinguono il suo agire esecutivo. Si parte col Preludio op. 45 e si arriva alla Ballata op. 23 n. 1, passando per la Berceuse op. 57 e la Barcarolle op. 60. Quasi un canone retrogrado di quelli bachiani il percorso che si prospetta: immersi nell’estetica contemporanea della sala, prende avvio un viaggio nel tempo che porta dalle modulazioni ardite e dalla profondità espressiva dello Chopin intermedio e tardo fino alla drammatica e passionale liricità del suo virtuosismo più giovanile, tratti naturali della struttura libera cui Chopin ricorre nel caso della prima Ballata.
A seguire, l’Ouverture dal Guillaume Tell S 552 di Rossini nella trascrizione di Franz Liszt, che, come prevedibile e al pari di altre opere del maestro ungherese, è stata definita ineseguibile dalla maggior parte dei pianisti del suo e del nostro tempo. Baglini riesce splendidamente, con la sua solita naturalezza, in un vero e proprio atto di diplomazia, ossia quello tra il pensiero musicale rossiniano – in questo caso epico, serio e drammatico – e il carisma lisztiano, che dà sfoggio proprio di quello sprezzante virtuosismo, talvolta un po’ invadente, cui Rossini non destinò particolare apprezzamento laddove abbinato alla sua opera.
A concludere, quasi un metascolto: quale luogo più adatto ai Quadri di un’esposizione di Mussorgsky se non un museo, dove proprio il palco fa da raccordo alle varie promenade? Dall’esecuzione emerge una profonda comprensione della natura narrativa e programmatica dell’opera: Baglini riesce perfettamente a veicolare la tensione emotiva e il carattere peculiare di ciascun movimento, passando con maestria dalla malinconia de Il vecchio castello alla spensieratezza di Tuileries, fino alla spettrale aura di Baba Yaga e alla travolgente maestosità de La grande porta di Kiev.
Le rappresentazioni musicali si stagliano con intensità e chiarezza nella mente dell’ascoltatore: apprezzabile l’acutezza filologica nel riproporre la versione originale per pianoforte del 1874, da sempre in concorrenza con le più note trascrizioni proposte da altri grandi artisti quali Ravel o Horowitz.
La tecnica impeccabile e la varietà di tocco di Baglini fanno sì che ogni movimento diventi un quadro a sé, vibrante di colori nitidi e di sfumature sottili. L’impressione di passeggiare tra i quadri di Hartmann, accompagnati da Mussorgsky nelle vesti di Virgilio e di interprete, lascia l’ascoltatore carico di aspettative per i prossimi appuntamenti del festival, in cui il testimone sarà passato ad Andrea Bacchetti (17 Novembre, ore 11) e a Sandro De Palma (1 Dicembre, ore 11); per questi non possiamo che augurarvi buon ascolto, con la speranza che anch’essi permangano perenniores aere nella memoria e nel cuore della platea.
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