Il pianoforte del domani. Intervista a Giovanni Nesi

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di Gabriele Cupaiolo

Giovanni Nesi viene considerato uno dei più interessanti pianisti della sua generazione; è nato a Firenze nel 1986 e deve il suo sviluppo musicale a Maria Tipo e Andrea Lucchesini.

In Italia si è esibito per le maggiori società di concerti e i più importanti festival, come il Maggio Musicale Fiorentino, il Festival dei Due Mondi di Spoleto, il Ravello Festival, La Società Umanitaria e la Società dei Concerti di Milano, l’Accademia Filarmonica Romana, il Teatro La Fenice a Venezia, la Società Aquilana dei Concerti, gli Amici della Musica di Firenze, Modena e Mestre, essendo più volte ospite della RAI.
Tra le istituzioni per le quali ha suonato all’estero si ricordano il Festival Pianistico Internazionale di Antalya, il Mozarteum di Salisburgo e la Yamaha Concert Hall di Vienna, St. Martin’s in The Fields e la BBC Concert Orchestra a Londra, il Teatro Solis di Montevideo, nonché alcuni dei principali centri musicali di Olanda, Francia, Austria, Germania, Grecia, Turchia, Spagna, Gran Bretagna, Messico, Uruguay e Argentina.

 

Innanzitutto salve caro Giovanni, mi permetto di darti del tu. So che in questo periodo hai avuto un piccolo incidente alla mano destra, come procede la tua riabilitazione? Suoni già a due mani?

Sì, suono già a due mani, anche se non per sessioni prolungate. La riabilitazione è ancora in fase di completamento, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti più inerenti alla coordinazione, ma possiamo dire che questo calvario stia giungendo (finalmente) al suo termine.

 

Hai mai pensato di dedicarti alla composizione? Magari di studi, specie dopo aver affrontato la distonia focale.

Sì, anche se non con frequenza tutt’ ora compongo. In passato mi sono occupato soprattutto di trascrizioni, arrangiamenti (penso a Milaud o a de Machaut), talvolta di musica da camera. Qualche anno fa ho collaborato col teatro Borsi di Prato – per il quale mi occupo della direzione artistica delle attività musicali –  scrivendo musiche da scena per La scuola delle mogli di Molière, nonché per commedie di Feydeau. A breve uscirà la mia trascrizione per sola mano sinistra di alcuni brani di Shostakovic.

 

Tematica DaD e concertismo. Cosa significa fare lezione agli allievi via webcam? E invece esibirsi per lo stesso  tramite (se lo hai fatto)?

Domanda di stretta attualità. Da Novembre ho avuto modo di riprendere in presenza le lezioni di pianoforte presso il conservatorio P.Mascagni di Livorno – d’ altronde si tratta di insegnamento individuale, mentre tutte le lezioni di classe sono ovviamente sospese -. Dunque è soprattutto durante il primo lockdown che ho avuto contatto diretto con l’ esperienza della DaD, che, per quanto utile a mantenere vivi l’ impegno e l’ attenzione degli allievi, non è assolutamente paragonabile all’ insegnamento in presenza: il pianista è artigiano e per migliorare le proprie qualità deve andare a bottega, esprimere le proprie problematiche in maniera diretta e saper allo stesso tempo cogliere con intelligenza  le indicazioni del maestro. La comunicazione diretta non può mancare. Ho suonato molto in diretta streaming, e non nego di avvertire molto la mancanza del pubblico e del palco; nonostante questo il mondo dell’ arte e della cultura non avrebbe potuto assolutamente permettersi di non trovare soluzioni di sorta, per cui ben venga questo aiuto da parte della tecnologia attuale. Il 21 dicembre a Pordenone mi esibirò in un recital al teatro Verdi, impegnato in un recital per sola mano sinistra: immagino già l’ atmosfera surreale, i posti vuoti e il silenzio intorno a me. Meglio così che niente, ma ripeto, ovviamente l’ esperienza live non è assolutamente sostituibile. Confidiamo in questo nuovo scenario post vaccino.

 

In questo periodo di chiusure forzate a quali autori ti stai dedicando? Ti senti emotivamente connesso all’ esperienza di uno o più musicisti in particolare?

Sto suonando molto l’ immancabile Bach – le trascrizioni dalle suites per violoncello e la Ciaccona trascritta da Brahms, Skrjabin, Schumann e Shostakovich, Wittgenstein. Il filo conduttore che collega questi autori è il tema fisso della tenacia, della forza d’ animo, specie se si considera che mi sto occupando di composizioni alla cui base sta sempre il proposito di scrivere per mano sinistra (Skriabin subì un infortunio alla mano destra, Wittgenstein addirittura la perse). Entrare in contatto diretto con le intenzioni, le emozioni e le vicende di grandi uomini del passato è sempre un’ esperienza da definire mistica, un contatto con l’ Assoluto e con la bellezza nelle loro più varie manifestazioni.

 

Il mondo della cultura e dell’ arte stanno patendo particolarmente questo momento storico molto intenso e concitato. Qual è la tua chiave di lettura al riguardo?

Questa realtà a dire il vero è sotto torchio da venti-venticinque anni: ce ne accorgiamo solo adesso, in una fase di particolare crisi, ma in condizioni di maggior normalità non si è mai fatto niente per invertire la rotta. E qui non sono da sottovalutare le colpe di una generazione che certo si è trovata nella condizione di avere fra le mani un testimone culturale già gravemente compromesso, ma mai poi rivitalizzato; si cerca di sopravvivere più che di riformare (spesso non perché non ci si riesca, ma perché non conviene); si galleggia, non si nuota; non si educa il pubblico all’ ascolto, si scelgono spesso programmi e format non efficaci, non in grado di consentire una fruizione della musica classica adatta al momento storico della contemporaneità. In generale negli ultimi trent’anni, almeno in termini di regola, è stato compiuto a mio avviso un vero e proprio disastro educativo, che ha portato ad una involuzione culturale abbastanza rilevante. Si deve assolutamente dare una ventata di freschezza alla situazione attuale, altrimenti arriverà il momento in cui non ci resterà che ricordarci di quando ‘si facevano la musica classica ed il teatro’: i giovani devono portare sul banco di prova energie e novità, non lasciarsi inglobare passivamente da istanze stagnanti e ormai desuete.

 

Hai uno speciale sogno nel cassetto?

Il mio sogno è quello di vivere un giorno – e qui mi ricollego alla risposta precedente – in una società in cui per costume sia la norma il rispetto per la professionalità dei musicisti (quanta se ne ha per altre professioni di intrattenimento?), specie di quelli che provano il profondo desiderio di entrare in empatia col prossimo per il tramite della loro arte. È necessaria la conoscenza di quel che significa svolgere questo lavoro, di quali sacrifici e di quanto impegno l’artista si fa carico – quotidianamente – per dare piacere all’ ascoltatore ancor più che a se stesso. Allo stesso tempo il musicista classico deve dar prova di non essere un pesce fuor d’ acqua nel suo contesto di vita d’ ogni giorno, trasmettendo nella maniera più efficace possibile quelle emozioni che la musica gli fa sperimentare e che lo trasportano innanzitutto emotivamente e visceralmente, senza farne motivo di un incomprensibile vanto, elitario ed esclusivo.

 

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