Il richiamo popolare in Bailecito, Gato e Diez Cantilenas Argentinas per pianoforte di Carlos Guastavino: brevi spunti di riflessione sull’interpretazione

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di Salvatore Sclafani

Carlos Guastavino (1912-2000) è considerato fra i più grandi compositori argentini del XX secolo. Nella sua produzione, gli elementi del folclore argentino sono spesso integrati al linguaggio della musica “classica” occidentale. Guastavino riprende alcuni stilemi del nazionalismo musicale argentino, movimento iniziato dai compositori Julián Aguirre (1868-1924) e Alberto Williams (1862-1949; la sua opera El rancho abandonado è stata oggetto di un nostro precedente articolo), fondato sulla rielaborazione di tratti specifici di canzoni e danze popolari, come ritmi, melodie e sequenze armoniche, all’interno di sistemi e stili compositivi appartenenti alla musica “colta” europea. Il nazionalismo musicale argentino resta vivo nel Paese durante la prima metà del Novecento, influenzando non soltanto Guastavino, ma anche altri compositori suoi contemporanei, fra cui Alberto Ginastera (1916-1983).

Carlos Guastavino

Lo stile guastaviniano ha tratti particolarmente originali e peculiari ed è caratterizzato da una sensibilità estremamente romantica (o meglio, postromantica), nonostante il compositore sia attivo in piena epoca di avanguardie. In quest’articolo, ci concentreremo brevemente su alcune delle sue opere per pianoforte: Gato (1940), Bailecito (1940) e Diez Cantilenas Argentinas (1953-58).

Sin dai loro titoli, tali composizioni esprimono una profonda connotazione culturale. Si tratta di una produzione conosciuta in Argentina, probabilmente proprio in virtù del suo contenuto fortemente legato alle musiche di questa terra, ma non molto diffusa ed eseguita in Europa. Sono brani capaci di creare un mondo di allusioni e simboli, che immergono l’ascoltatore in un ambiente sonoro spiccatamente argentino.

L’impatto del focklore su una scrittura pianistica classica in composizioni come Gato, Bailecito e Diez Cantilenas Argentinas invita anche l’interprete a una profonda riflessione sulle radici di questo repertorio, la cui esecuzione sembra esigere una comprensione non circoscritta soltanto all’aspetto eminentemente artistico, ma che tenga conto anche del suo contesto culturale. Gato e Bailecito evocano due danze folkloriche argentine, il gato e il bailecito per l’appunto, e si fondano sulla stilizzazione dei loro elementi strutturali, armonici e ritmici, rielaborati in maniera nuova e personale all’interno del discorso compositivo. Ad esempio, nella loro forma tradizionale, entrambe le danze presentano una frequente biritmia, tratto che Guastavino mantiene tramite il ricorso costante alla sovrapposizione fra il 6/8 e il 3/4 all’interno della stessa battuta. Inoltre, il riferimento all’elemento popolare è ulteriormente riscontrabile nei frequenti contrasti, tipici delle danze, fra momenti lirici e fasi più scandite ritmicamente, o nelle puntuali imitazioni, al pianoforte, delle tecniche d’esecuzione chitarristica d’accompagnamento delle danze tradizionali.

Le Diez Cantilenas Argentinas sono considerate la vetta della produzione pianistica guastaviniana. Esse mostrano la maturità del compositore e la sua profonda dimestichezza con la stilizzazione dell’elemento musicale popolare. Anche in questo caso, le cantilenas sono caratterizzate da un’influenza attribuibile al folclore argentino, reperibile nella frequente sovrapposizione, già osservata per Gato e Bailecito, delle suddivisioni binaria e ternaria all’interno della stessa battuta, e nell’interpolazione di intervalli (come la quarta aumentata) derivati dalle scale modali folcloriche.

Tali tratti sono tuttavia sottilmente inseriti in uno stile postromantico denso di cromatismo e sostenuto da un sapiente contrappunto, fino a non essere più riconoscibili se non, forse, per un pubblico avvezzo alla tradizione musicale argentina e capace di coglierli anche in questa forma. I dieci brani che compongono il ciclo si distinguono per la loro varietà formale e la ricchezza melodica, ed evocano, sin dal titolo, fatti, luoghi o persone della memoria del compositore (come le cantilenas I e VIII, dedicate alla sua città natale: Santa Fe).

Sotto il profilo dell’interpretazione, l’identità fortemente autoctona di Gato, Bailecito e delle Diez Cantilenas Argentinas sembra assumere un ruolo rilevante. Il pianista dovrebbe allora essere capace di reperire i tratti e i codici che fanno allusione al folclore e alla cultura argentina perché l’esecuzione di tali brani sia pienamente accessibile? Un approccio veramente efficace sarebbe appannaggio di artisti immersi nella cultura argentina? Oppure il gesto personale del pianista può essere ugualmente valido ai fini di una valida interpretazione soggettiva, indipendentemente dalle frontiere e dalle culture?

Sono, questi, alcuni degli interrogativi potenzialmente utili per l’interprete (argentino e non) che voglia dedicarsi a questo repertorio. In ogni caso, crediamo che la cifra popolare presente in Bailecito, Gato e Diez Cantilenas Argentinas offra un pretesto importante perché il pianista vi si rivolga non soltanto come interprete, ma anche come “esploratore”, poiché uno studio puntuale e approfondito sulle origini e le ragioni culturali di questa musica può aiutare e arricchire il suo approccio artistico.

 

 

 

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