di Stefano Teani
Dalla parola al canto – Metodo per una buona emissione attraverso la corretta dizione. Questo il titolo del libro di Chiarastella Onorati (64 anni, genovese e residente a Roma) e Alessia Sparacio (52 anni, palermitana), uscito per la casa editrice Ricordi lo scorso settembre. Ne parliamo con le autrici, così simili e così diverse: entrambe cantanti liriche (mezzosoprani) con carriere internazionali, ma ognuna dotata di un timbro vocale unico e personale. Appassionate docenti con alle spalle studi poliedrici (dal pianoforte alla musica contemporanea), in questa intervista ci raccontano come è nata l’idea alla base di questo metodo innovativo, che si propone di aiutare i cantanti nell’emissione vocale correggendo la loro dizione.
Come vi siete conosciute e come è nata la vostra collaborazione?
Alessia Sparacio: Nel modo migliore in cui due artisti possono incontrarsi: cantando insieme! Io avevo vinto il Concorso AsLiCo e stavo debuttando L’italiana in Algeri, mentre lei aveva già intrapreso una brillante carriera di cantante lirica – oltre a essere un’ottima pianista. Ci siamo subito trovate benissimo e ci siamo rese conto che, pur venendo da esperienze diverse, avevamo molti punti in comune, soprattutto nell’approccio alla musica e alla vocalità in particolare. Poi ci siamo perse di vista per alcuni anni, per ritrovarci infine a Ravenna al corso di Vocologia del professor Franco Fussi, dove abbiamo svolto due tesi complementari.
Chiarastella Onorati: Poi “galeotta fu la pandemia”, perché in quel periodo ci ritrovammo in una sorta di reunion del corso di Vocologia e, tornando a rievocare le nostre tesi, il professore ci suggerì di unire le forze e farne un’unica pubblicazione. Da quel momento abbiamo cominciato a lavorarci, ed eccoci qua.
Parliamo di questo libro frutto del confronto fra le vostre esperienze.
CO: L’ispirazione per questo testo, oltre alla collaborazione fra noi e le nostre ricerche, nasce dal prof. Paolo Zedda. Ho frequentato molti suoi convegni a Ravenna: proprio in una di queste occasioni lesse una relazione sul rapporto fra la corretta pronuncia, la consapevolizzazione del luogo articolatorio di ciascuna vocale e consonante e il buon canto. Per me fu una folgorazione. All’epoca insegnavo già Musica vocale da camera a Perugia e quindi cominciai a sperimentarlo, fino a inventarmi un vero e proprio laboratorio improntato su questo nuovo approccio.
AS: Io poi ho scoperto che la mia insegnante, Margaret Baker-Genovesi, aveva collaborato con Paolo Zedda in molte occasioni: non a caso anche lei mi ha sempre detto che a una pronuncia corretta corrisponde un suono corretto. Quindi possiamo dire che è grazie a lui se il nostro progetto ha avuto inizio.
Com’è cambiato il vostro approccio al canto e all’insegnamento?
CO: Ci siamo rese conto che questa nuova prospettiva cambia notevolmente la qualità del canto, quindi abbiamo cercato subito di inserirla nella nostra didattica quotidiana. Bisogna sottolineare, infatti, che questo libro non è un metodo di canto, ma di studio, perché ci siamo accorte che – lavorando sulla corretta pronuncia – stavamo implicitamente e automaticamente lavorando sulla corretta gestione del fiato.
AS: Io, essendo siciliana, ho dovuto fare uno studio molto approfondito per correggere tutte le vocali, che nel nostro dialetto sono di base molto aperte. Ho scoperto che, mantenendo la stessa tecnica ma modificando la pronuncia, riuscivo a cantare meglio, anche a livello di facilità di emissione. Un altro aspetto da sottolineare è che da questo metodo non ne trae giovamento solo la lirica, perché non è vincolato a uno stile o una tecnica vocale: si adatta perfettamente a ogni genere, dal pop al rock. Questo ci ha spinto a scriverne, per dare un aiuto in più a tutti.
La vostra attività professionale è caratterizzata da una notevole apertura verso la musica a tutto tondo, dal barocco al Novecento…
AS: Io ho cominciato con il barocco, per poi seguire l’evoluzione della mia voce. Ho dato la priorità all’aspetto della pronuncia, lasciando che lo stile la facesse da padrone, perché chiaramente se canto repertorio del Seicento non cerco la cosiddetta “ibridizzazione delle vocali” per cercare un suono più scuro e pieno, al contrario lascio tutto più chiaro e libero di fluire. Ecco perché dicevamo che questo metodo si accorda a tutti gli stili e i generi.
CO: Esatto, anche per me si tratta ormai di un approccio naturale e spontaneo. Ovviamente la gestione del fiato è diversa se si canta Verdi o Monteverdi, e questo deve essere compreso e provato su di sé sperimentando anche approcci diversi, una respirazione più alta o più bassa a seconda del repertorio. Proprio la continua ricerca e il confronto con altri è ciò che ci ha spinte a unire le nostre esperienze per dar vita a questo metodo, senza mai dare niente per scontato.
È sicuramente un lavoro di cui si percepiva la necessità.
CO: Devo dire che, parlando anche con amici e colleghi maestri collaboratori, tutti hanno riscontrato il bisogno di un testo simile. Un esempio: per le lingue straniere esiste la figura del lettore, per l’italiano no. A Perugia, nel mio laboratorio, avevo tanti studenti provenienti da tutto il mondo, ma pochissimi italiani: danno erroneamente per scontato che, essendo italiani, non abbiano bisogno di correggere la pronuncia.
AS: Purtroppo invece non è così, anche noi potremmo trarre giovamento da questo tipo di studio. Io, come ho detto, ne sono testimone diretta, venendo da Palermo e avendo fatto un gran lavoro di pulizia sulla mia pronuncia… ma senza mai dimenticare i suoni della mia terra!
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