di Salvatore Sclafani
Enfant prodige, apprezzata in ambito internazionale, la pianista belga Eliane Reyes vanta una brillante carriera artistica. Dall’incontro con Martha Argerich all’età di 14 anni, ai numerosi concerti in sale prestigiose come il Concertgebouw di Amsterdam o il Musikverein di Vienna, fino alle sue esibizioni per la casa imperiale del Giappone, Eliane è sempre stata animata da una forte curiosità intellettuale che l’ha resa un’interprete fine ed eclettica. Profondamente convinta della necessità di un dialogo profondo tra la musica e le altre arti, non è raro vederla affiancata sulla scena da scrittori, attori e filosofi. È Chevalier de l’ordre des Arts et des Lettres della Repubblica francese, prima pianista belga a ricevere un tale riconoscimento.
Salvatore Sclafani, nostro corrispondente da Bruxelles, è andato a intervistarla per TGmusic.it. Eliane racconta la sua vita da musicista in Belgio durante la pandemia di COVID-19, ma anche della sua attività di pedagoga, dei suoi ricordi legati all’Italia e dei suoi progetti futuri.
Qual è stato l’impatto del confinement belga di marzo-maggio 2020 sulla tua carriera di pianista e docente?
Ho vissuto il confinamento con ancora tante energie da spendere, mi sentivo pienamente attiva. Perciò, ho cercato di adattarmi abbastanza rapidamente: oltre ai concerti in streaming, sono stata spesso impegnata con delle interviste, e ho potuto riflettere sui miei progetti per il futuro… Credo che durante questo periodo restasse viva negli ambienti artistici una sorta di speranza. Sicuramente avevamo le ali tarpate, ma è stata anche un’occasione preziosa per innovare e reinventare le attività artistiche e musicali. Anche dal punto di vista pedagogico, avevo l’impressione che la situazione potesse essere gestita con relativa facilità: durante il mese di marzo si è già oltre la metà dell’anno accademico e gli studenti sono in genere ben avviati verso gli esami finali, anche se, naturalmente, si tratta di una fase delicata e occorre sostenerli. E poi, in fondo, questa pausa forzata mi ha fatto anche bene sul piano personale, mi ha permesso di riprendere fiato e riflettere. Di solito sono costantemente presa dalla mia vita professionale e, per una volta, ho avuto il tempo di fare anche qualche passeggiata o passare più tempo con i miei figli.
Dal 2 novembre 2020, il Belgio è entrato nel suo secondo confinamento. Riscontri delle differenze rispetto al primo?
Sì, credo si possa fare una distinzione. Quest’ultimo confinamento è ben più complesso da gestire: innanzitutto, non si tratta di un’assoluta novità come la prima volta, ma di un difficile ritorno alle restrizioni. Inoltre, siamo fra i Paesi più colpiti d’Europa dalla pandemia. Lo spirito di gruppo e la speranza che avevano alimentato il primo confinamento sembrano adesso cedere il passo all’individualismo e a una forma di rassegnazione. Dobbiamo pazientare, non abbiamo altra scelta. E anche dal punto di vista didattico la situazione è molto più delicata, con gli studenti all’inizio del loro programma annuale. Sono stata io stessa colpita dalla malattia da coronavirus (COVID-19) all’inizio dell’anno accademico: si tratta di una malattia sfiancante e sono la prima a essere sensibile alle precauzioni e agli sforzi per combatterla. Questa seconda ondata dell’epidemia sembra imporre nuove e difficili sfide agli artisti. Ho anche l’impressione che la “moda” del concerto live della prima ondata sia un po’ tramontata, c’è bisogno di rinnovare il contatto fra l’artista e il suo pubblico. Sembra che questo confinamento presenti un maggiore sentimento d’incertezza, non sappiamo per quanto tempo durerà e se sarà più drammatico del primo. E fa paura vedere che, ad esempio negli Stati Uniti, il Metropolitan ha annullato l’intera stagione 2020-21.
Quali sono le conseguenze di questo secondo confinamento sulla vita musicale belga?
Fino a ottobre, è stato possibile organizzare dei concerti con un pubblico massimo consentito di un centinaio di persone. Adesso, tutte le manifestazioni artistiche e culturali sono annullate, almeno fino a metà dicembre e forse oltre. C’è un clima di forte incertezza, e da un po’ di tempo non abbiamo vere e proprie prese di posizione da parte della Ministra della Cultura… Tuttavia, diverse associazioni locali cercano di venire incontro agli artisti tramite dei sussidi e gli organi statali continuano a erogare dei fondi per compensare gli annullamenti dei concerti. Restano inoltre autorizzate le prove e le incisioni di dischi.
Durante il primo confinamento, avevamo lanciato numerose petizioni. Io stessa ho pubblicato una lettera aperta alla precedente Ministra su un giornale locale. Spesso ci è stato detto che il settore culturale non sarà dimenticato. Sì, ma dato che le apparizioni dell’attuale Ministra sono sempre più rare… siamo noi che abbiamo dimenticato lei! (ride)
In questo momento, non sembrano esserci le condizioni per prevedere la realizzazione di attività artistiche a medio termine : a causa di questa pandemia, ci stiamo avviando verso la perdita di almeno un anno di concerti. Un anno di lavoro. E non è realistico pensare di poter posticipare tutti i concerti: molti di essi vengono semplicemente annullati.
Durante questo periodo, come si è evoluta la tua relazione con il pubblico? Quali differenze hai riscontrato fra il concerto online e l’esibizione in sala? Esistono per te degli elementi positivi del concerto online, sia per il pubblico che per l’interprete, che l’esibizione in sala non può offrire?
Il concerto online possiede sicuramente diversi aspetti positivi: ad esempio, puoi invitare i tuoi cari e i tuoi amici indipendentemente dal luogo in cui essi si trovino. Mi viene in mente uno dei concerti eseguiti in live streaming a Bruxelles, in cui ho avuto fra i miei spettatori amici dalla Francia e parte della mia famiglia messicana, collegati dai rispettivi Paesi. È stato fantastico rivolgermi a loro simultaneamente, in tempo reale, ed emozionante, poi, ricevere i loro messaggi. Quest’esperienza mi ha reso ulteriormente cosciente di quanto il concerto dal vivo (online o fisico) sia imprescindibile per il nostro mestiere e fondamentale per rinnovare l’ascolto del repertorio classico.
Allo stesso tempo, però, trovo che il concerto online rischi di diventare eccessivamente autoreferenziale. A mio avviso, l’assenza di interazione rende meno intensa la condivisione della performance, le emozioni non si trasmettono nella stessa maniera e vi è maggiore distanza. Sembra quasi un monologo. L’artista è da solo davanti allo schermo e non può né sentire né vedere il suo pubblico: mi ricorda quasi il contesto di un’incisione in studio.
Nulla può sostituire l’esperienza del concerto in sala: vedere la persona che ti ascolta, percepirne le emozioni e la sensibilità. E poi incontrarsi dopo il concerto, scambiare delle impressioni… Il piacere di esibirsi in concerto risiede anche in questo: sentire un’atmosfera, una società, un’umanità.
E il suono! Il suono di un computer, di un iPhone, cattura e trasmette, certo! Ma non è il suono di uno Steinway potente, lanciato attraverso la sala, con tutte le sue vibrazioni.
E cosa ci dici del tuo rapporto con l’Italia?
Il mio primo legame con l’Italia è stato con Giovanna, belga di origine italiana, da trent’anni una delle mie migliori amiche. E negli ultimi tempi, fra i miei allievi ci sono stati anche dei ragazzi italiani in gamba.
Per un musicista, l’Italia resta costantemente al centro dell’immaginario musicale. E adoro l’opera italiana, specialmente Puccini! Mio figlio, poi, è un vero appassionato di tutta la cultura italiana e ha studiato per alcuni mesi in Sardegna, ospite di una famiglia locale.
Uno dei miei ricordi più forti è sicuramente l’incontro con Ennio Morricone una decina d’anni fa a Roma, a Palazzo Farnese, dove mi sono esibita in un concerto di gala condiviso con il Maestro: io avrei suonato durante la prima parte, in duo con il clarinettista Florent Héau, e lui sarebbe entrato in scena successivamente. Quando gli dissi che come bis avremmo suonato il tema dal film Mission, mi rimproverò: mi disse che, piuttosto, avrei dovuto suonare i suoi Quattro Studi per pianoforte! Ho ancora lo spartito qui con me. Oltre a Ennio Morricone, quella sera incontrai altri grandi nomi italiani dello spettacolo, come Claudia Cardinale e Ornella Muti.
Ci sono diversi pianisti italiani che ammiro: fra quelli appartenenti alla mia generazione, penso a Maurizio Baglini, Roberto Prosseda, Roberto Plano… E la scuola pianistica italiana tutta è, tradizionalmente, di grande livello. Martha Argerich, alla quale mi lega un rapporto d’amicizia, me ne ha sempre parlato. Soprattutto del didatta italiano Vincenzo Scaramuzza, figura fondamentale per il pianoforte in Argentina.
Oltre alla tua attività di insegnante di pianoforte complementare al Conservatoire National Supérieur de Musique et Danse (CNSM) di Parigi, sei docente di pianoforte principale al Conservatoire royal de Bruxelles (CrB), città al centro dell’Europa. Si tratta di un’Istituzione che accoglie studenti provenienti da tutto il mondo: a tuo avviso, a quali vantaggi va incontro il giovane musicista che voglia formarsi al CrB?
L’offerta formativa del Conservatoire royal de Bruxelles è solida e di qualità. Le classi di pianoforte sono particolarmente nutrite e dinamiche, con quasi un centinaio di allievi.
Non soltanto i corsi di strumento, ma anche le varie materie teoriche insegnate da professori estremamente competenti contribuiscono a forgiare dei musicisti completi. Inoltre, come hai appena detto, Bruxelles è il centro dell’Europa: in questa città (e nel nostro Conservatoire) passano spesso artisti di fama internazionale. Qui abitano, per esempio, Mischa Maisky, İdil Biret e Roby Lakatos, per citarne alcuni.
Dal punto di vista culturale, Bruxelles offre una straordinaria varietà di musei e attività. E gli spostamenti verso altri Paesi europei a sono in generale piuttosto accessibili. È un crocevia fondamentale, dall’anima cosmopolita.
Infine, non bisogna dimenticare la storia del Conservatoire royal: basti pensare al compositore spagnolo Isaac Albéniz, che ne è stato allievo negli anni ’70 del 1800. E proprio il Conservatoire ha ospitato per cinquant’anni, fino al 2012, il Concours Reine Elisabeth. Nella mitica Grande Salle del Conservatoire royal, una sala dall’acustica unica, si sono esibiti fra i più grandi interpreti del mondo, come David Ojstrach, Ėmil’ Gilel’s, Vladimir Ashkenazy…
Puoi dirci qualcosa dei tuoi prossimi dischi in uscita e, in generale, di eventuali progetti futuri ?
Sto preparando diversi dischi. Il primo, consacrato a 21 valzer per pianoforte scritti da Dirk Brossé, compositore e direttore d’orchestra belga, già assistente di John Williams e direttore principale della Chamber Orchestra of Philadelphia, per citare solo alcune delle sue numerose e prestigiose attività. Il disco sarà distribuito a partire dal 14 febbraio 2021 dall’etichetta Etcetera records.
Il secondo, in duo con la violinista belga Sylvia Huang, finalista al Concours Reine Elisabeth 2019, con in programma opere di compositori del nostro Paese: Guillaume Lekeu (che, come me, è originario di Verviers) ed Eugène Ysaÿe. Un disco cento per cento belga, in uscita entro l’estate del 2021, per l’etichetta Fuga Libera.
Poi, c’è un disco al quale sono molto contenta di lavorare, quello dedicato alle opere per pianoforte solo del direttore d’orchestra e compositore Paul Paray, con incisioni in prima mondiale: si tratta di composizioni di inizio Novecento, dalle sonorità evocatrici del Romanticismo francese. Uscirà nel 2021, ma la data esatta è ancora da stabilire. Sarà distribuito da CIAR Classics.
Infine, a settembre 2021 è in programma la pubblicazione di un disco per i 60 anni del compositore francese Nicolas Bacri, contenente suoi brani per violino e pianoforte, in duo con Elizabeth Balmas.
Foto: ©️ Manuel Gouthière
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