La geniale weltanschauung musicale altamente e profondamente etica di un grande innovatore culturale. Intervista a Giorgio Battistelli.

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di Smeralda Nunnari

L’artista per antonomasia che esprime e glorifica l’arcano potere della musica.

Leone d’oro alla carriera, nella Biennale Musica, «per il suo lavoro di teatro musicale sperimentale e la sua intensa produzione operistica, realizzata dalle più importanti istituzioni europee», Giorgio Battistelli, compositore e organizzatore culturale. È accademico effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore artistico dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento e del Festival Puccini di Torre del Lago Puccini.

 

Il potere della musica per Giorgio Battistelli

Il potere della musica è, anche, quello di riuscire a modificare il nostro modo di stare nel mondo o la speranza di riuscire a trasformarlo. Una scrittura moderna dev’essere capace di incunearsi nel presente, di leggerlo, di narrarlo sul piano stilistico e della forma.

 

Potere politico e potere della musica. Ci vorrebbe più simbiosi. Come e in che misura il potere politico dovrebbe sostenere adeguatamente la sublimità di tale potere?

Il potere politico deve essere consapevole che c’è una musica che riesce ad avere un’autonomia economica e una musica che deve essere, invece, sostenuta, perché più complessa e meno soggetta a processi consumistici. Abbiamo bisogno che la politica crei nuovi orizzonti e che non appoggi più una politica culturale palliativa. Auspico a una riabilitazione di un’ Italia musicale.

 

Ci potrebbe tracciare uno schizzo della sua weltanshauung musicale?

È l’aspirazione di un’arte e di una musica che sia “relazionale” con il mondo in cui vivo, quindi, capace di relazionarsi nelle varie sfaccettature che compongono il mio tempo presente. Non sono attratto da una forma di ecclettismo, ma da una forma di pensiero radicante che possa camminare, evolversi in direzioni anche autonome e differenziate. La verità è sempre un’articolazione di verità e può essere solo cercata e mai trovata.

 

Nel bicentenario leopardiano, lei ha omaggiato il poeta recanatese con la sua opera “Giacomo mio, salviamoci!”. Era il 1998… Ma, adesso, che possibilità abbiamo, ancora, di salvarci dopo gli scossoni tremendi, come la pandemia e una guerra che potrebbe trascinarci e annientarci?

Penso che le risorse dell’uomo sono sempre enormi, c’è non soltanto l’istinto di sopravvivenza, ma anche la possibilità di non arrivare ad un’autodistruzione del globo. Il mondo va avanti, si evolve. Ogni evoluzione e ciascun cambiamento necessita di una messa a fuoco, si deve risintonizzare con la realtà. L’umanità va avanti, l’uomo va avanti soltanto se ha la capacità di saper ascoltare quello che ha intorno. Nella difesa dell’identità culturale, dobbiamo, però, essere capaci ad accogliere elementi differenti dalla nostra, saperli individuare e ascoltare. Io ho fiducia, come musicista, auspico a un “sistema Italia della musica”, dove ci sia la possibilità di sviluppare e fare evolvere ancora di più patrimoni musicali del nostro Paese periferici o sommersi. Si parla, spesso, del codice dello spettacolo e di come riformare il settore dello spettacolo, della musica dal vivo. Sono convinto che non ci potrà essere nessuna riforma, se non avverrà una riforma del codice morale e etico del musicista. Purtroppo, i maestri non sono più in grado di insegnare tali principi e di trasmetterli ai propri allievi, semplicemente perché sono stati smarriti o traditi. Abbiamo, un “sistema musica” in Italia, che ha molti buchi. Allora, ci vuole una volontà politica di dare forza, vigore e recuperare un’integrità morale. Questo è fondamentale e, quindi, non un’integrità ideologica. Per troppi anni, le cose si sono mosse su preconcetti ideologici. Adesso, c’è bisogno di una presa di posizione profonda, di guardare le cose con naturalezza, tenendo fermi alcuni valori umani molto forti. Su questo dobbiamo lavorare davvero moltissimo, fermare qualsiasi forma di conflitti d’interessi, anche mascherati e forme sofisticate di corruzione. Le persone che ricoprono un ruolo di direttore artistico o sovrintendente in un’istituzione devono stare molto attenti e non usare quel ruolo per autopromozione. Recentemente, sono state riconosciute nuove orchestre ICO, nuove orchestre regionali, ritengo sia stata un’operazione profondamente sbagliata, che corre il rischio di danneggiare quelle esistenti che, certamente, devono molto lavorare per la propria sopravvivenza. È possibile e auspicabile far nascere nuove orchestre e nuovi festival, ma solo a condizione di un progetto culturale chiaro e sostenibile. È necessaria una maggiore qualità e competenza, per permettere un percorso che abbia un senso politico e culturale. La cultura richiede competenza e visione perché è sulla cultura che si fonda lo sviluppo di un Paese. In Italia abbiamo bravissimi sovrintendenti – e non mi riferisco solo a quelli delle Istituzioni più prestigiose, ma anche a tutti gli altri – perché fortunatamente la media del settore in Italia è molto alta. Ma per noi “operatori della cultura” (non solo nella musica) sarebbe molto stimolante avere, al Ministero della Cultura e all’AGIS, interlocutori con i quali poter discutere della costruzione di un futuro migliore sulla base di una programmazione che tenga conto non solo degli aspetti economici ma di aspetti più culturalmente pregnanti che sono un investimento per il futuro. Con la cultura forse non si mangia nell’immediato (ma questo meriterebbe una discussione più ampia) ma si accumulano risorse e ricchezze, anche economiche, per sopravvivere nei secoli ad imperitura memoria.

 

Nel suo firmamento musicale, brillano numerosissime stelle, ma la cometa, sicuramente, è “Experimentum Mundi”. Un’opera dal successo mondiale, da lei definita musica immaginifica. Ci può delineare l’input o il significato profondo, originale, sinestesicamente coinvolgente del suo concerto di teatro strumentale.

Il significato di quest’opera è che il mondo è una materia in continua trasformazione.

 

Dopo “Riccardo III”, ancora un’altra tragedia shakesperiana: “Julius Caesar”, che scava nei meandri diabolici del potere, lasciando agli spettatori la prerogativa di scegliere da che parte stare. Può raccontarci qualcosa sulla loro genesi?

La genesi è, proprio, l’idea di costruire una trilogia shakesperiana sul potere. È iniziata con Riccardo III e Julius Caesar e proseguirà, vedremo, con una terza opera. Il progetto iniziale era quello di scrivere una trilogia su testi delle tragedie di Shakespeare, però sul tema del potere. E, Giulio Cesare, credo che sia, ma, forse, è il personaggio, se non il maggior, è uno dei due, tre personaggi più conosciuti al mondo. Ritengo che è una grande metafora di come s’intende il potere, di come lo si esercita e di quali sono le dinamiche per appropriarsene. Quindi, è davvero una metafora che possiamo applicare anche al mondo della società  musicale italiana. Naturalmente, le morti, fortunatamente, sono metaforiche.

 

Chi governa si danna l’anima, sosteneva S. Tommaso nel suo “De regimine principum” e l’artista, invece?

Diciamo che, anche, l’artista si danna l’anima, se non c’è una continua riflessione e una profonda dubitanza, penso che, entrambe, siano necessarie, sulla scrittura, su ciò che si fa. Non credo molto nei portatori di una sola verità.

 

Quali sono o quali dovrebbero essere le proiezioni del mondo culturale italiano?

Le proiezioni che auspico possano avvenire sono dei cambiamenti strutturali, anche di quelle istituzioni culturali che hanno al loro interno dipendenti, musicisti e amministrativi a tempo indeterminato. Ci vorrebbe una maggiore flessibilità, che produrrebbe una maggiore dinamicità dell’intera istituzione. Inoltre, è di primaria importanza sviluppare un coordinamento tra la formazione e la dimensione performativa dello spettacolo dal vivo. Può capitare che, le direzioni delle istituzioni, fondazioni liriche o istituzioni concertistiche, vengono affidate in base a criteri politici, di correnti, di cordate, ma non di reale competenza.

 

Lei ha guidato vari Festival musicali nazionali ed internazionali. Quali sono le sue soddisfazioni migliori?

Le soddisfazioni migliori sono far capire il progetto culturale che un direttore artistico riesce a tracciare. Questo è ciò che ho cercato di fare a Montepulciano, all’Arena di Verona, all’Orchestra della Toscana,  al Festival Puccini, naturalmente, al Teatro dell’Opera di Roma e, attualmente, sto cercando di fare a Bolzano, con l’Orchestra Haydn.

 

Ad originare la sua geniale creatività è intervenuta l’opera di un demiurgo? Deve a qualcuno il primo soffio vitale o deve tutto a se stesso?

Mi sono avvicinato alla musica in modo del tutto naturale, non ho avuto inviti da parte di qualcuno, ma la fortuna di aver avuto dei genitori che mi hanno lasciato libero di scegliere. È naturale… sono andato verso la musica! E, già, da giovanissimo, verso la scrittura, quindi, la composizione.

 

Il più bel ricordo legato alla sua attività artistica, magari agli inizi…

Ce ne sono vari, ma, insomma, ce n’è, forse, uno: l’esecuzione in Nuova Zelanda di un mio lavoro per orchestra, di una platea che era il 70% di māori e vederli, fortemente, coinvolti ed emozionati, che hanno risposto con un applauso interminabile. Questo mi ha molto colpito, mi ha confermato che quando le emozioni sono autentiche, vere, si può arrivare, anche, a culture diverse!

 

Vorrebbe parlare di un argomento che le sta particolarmente a cuore? Faccia conto che io le abbia fatto una domanda ad hoc.

Un argomento che mi sta molto a cuore è quello della responsabilità etica dell’ intellettuale e dell’artista in un momento in cui l’intreccio tra cultura e politica assume talvolta livelli patologici e in cui la prospettiva politica sembra più orientata alla sopravvivenza nel presente che alla costruzione del futuro. Recuperare la dimensione etica e morale della cultura, anche con una maggiore indipendenza rispetto alla politica, significherebbe anche formare i giovani ad un diverso approccio alla vita e aiuterebbe anche la politica a recuperare una dimensione per gestire il presente guardando un po’ di più al futuro.

 

Photo © Lorenzo Montanelli

 

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