La magia delle favole francesi evocate dalla sonorità dei tasti bianchi e neri in Ma Mère l’Oye di Maurice Ravel

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di Smeralda Nunnari

«La grande musica deve venire dal cuore. Qualsiasi musica fatta solo di tecnica e cervello vale meno del foglio su cui è scritta.»

(Maurice Ravel)

Maurice Ravel, compositore, pianista e direttore d’orchestra francese realizza Ma Mère l’Oye (Mia Madre l’oca), nell’originale partitura a quattro mani, tra il 1908 e il 1910.

La genesi della suite è determinata, sia dall’attrazione sentita dall’autore, verso le tematiche infantili e il mondo delle fiabe, sia dall’affetto nutrito, per Mimie e Jean, figli dei suoi carissimi amici Ida e Xavier-Cyprien Godebsky, a cui dedica l’album pianistico. Mimie, da adulta, rammenta l’abitudine del musicista amico di famiglia di prenderla sulle ginocchia per raccontarle di Laideronnette, della Bella e la Bestia e di un triste topo.

L’opera, comprende cinque brani, ispirati a racconti della letteratura francese tra seicento e settecento. Il titolo e i primi due pezzi, ossia la Pavane de la Belle au bois dormant e Petit poucet sono tratti dall’antologia di Charles Perrault, Les Contes de ma Mère l’Oye. Il terzo brano, Laideronnette, impératrice des pagodes, trova la propria fonte nel Serpentin Vert di Marie Catherine d’Aulnoy. Il quarto brano, Les entretiens de la belle et de la bêtel, deriva dai racconti di  Jeanne-Marie Leprince de Beaumont. Mentre dubbia resta l’ispirazione de Le jardin féerique, quinto e ultimo brano.

Il primo movimento, Pavana della Bella addormentata nel bosco, lento, in La minore di delicata sonorità e enigmatica atmosfera, è una breve ninna nanna, dove la Fata Benigna culla il sonno della principessa, la cui melodia si mostra esitante e misteriosa per l’utilizzo del modo eolio, che privo della risoluzione della sensibile sulla tonica, mantiene sospesa la melodia.

Nel movimento successivo, Pollicino, molto moderato, in Do minore, una successione di accordi di terza evoca la camminata solitaria del più piccolo dei sette fratelli, abbandonati nel bosco dai genitori poveri. Il bambino pensa di individuare la strada di ritorno, tramite le briciole di pane lasciate cadere dietro i suoi passi, mangiate, invece, dagli uccellini. Una musica tortuosa richiama l’incerto vagare del protagonista e i suoni onomatopeici rimandano al cinguettio degli uccellini,

Segue la Laideronnette, imperatrice delle pagode, movimento di marcia, in fa diesis minore, una melodia dalla grande potenza evocativa, che alterna una sezione vivace, sviluppata nei registri acuti, a una sezione più lenta e riflessiva, in quelli gravi. L’uso dell’armonia quartale e della scala pentatonica le conferiscono un carattere orientaleggiante.

Il penultimo movimento, Le conversazioni della Bella e della Bestia, moderato valzer grazioso e struggente, in fa maggiore, dalla struttura complessa e dalla scrittura armonica raffinata, infonde una soave serenità, ma al tempo stesso una sottile inquietudine. Questa vicenda si sintetizza in un dialogo amoroso, nel quale la Bella cede alle suppliche della Bestia. Il vero volto dell’affascinante principe prenderà forma con un magico glissato che riuscirà a dissolvere l’incantesimo.

Nel quinto e ultimo movimento: Il giardino fatato, lento e grave, in do maggiore, domina l’allegria e la felicità, perché un bacio del principe risveglia la principessa addormentata. Il brano si sviluppa come un timido corale, che cresce fino a concludersi brillantemente, tra gaudio ed esultazione, con ampi glissati nei registri alti.

Ravel evoca in Ma Mère l’Oye, un’infanzia serena, fantastica, fiabesca ma al tempo stesso, stretta dalle angosce puerili, spaventata, impotente. Tra le pagine innocenti della Pavane o Laideronnette e le inquietanti come Les entretiens de la Belle et de la Bète o Le Jardin féerique, quelle  di Petit Poucet, segnano un passaggio mediano, dove la favola diviene racconto pauroso, in bilico tra avventura e angoscia. Le semplici scale ascendenti si fanno sempre più lunghe ed importanti, arrivando a mostrare lo smarrimento del piccolo, disorientato di fronte ad una foresta troppo complicata da decifrare senza più briciole di pane.

Con questi cinque brani di grande suggestione, che si avvicendano con raffinato e giusto equilibrio nelle proporzioni, il compositore riesce a dare un rilevante contributo alla letteratura pianistica per l’infanzia. Affascinato, egli stesso, del proprio spartito pianistico, acconsente, nel 1912, alla richiesta del suo editore di trascrivere i brani in una versione orchestrale, mostrando grande maestria nei colori. Successivamente, nel 1911, l’artista la trasforma in un balletto, su richiesta del direttore del Théatre des Arts, con l’aggiunta di un Preludio, una Danse de Rouet e alcuni intermezzi di collegamento tra i cinque brani, modifica l’ordine originario nell’ulteriore metamorfosi concertistica.

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