di Maria Musti
Nel 2012 un talentuoso pianista americano di 30 anni, John Anderson, ideò e realizzò a Pescara un progetto utopico: un’etichetta discografica meritocratica e no profit, la Odradek Records. Dieci anni dopo quella realtà, solidamente affermata, è affiancata da progetti all’avanguardia che la integrano e supportano.
John, lei è nato in America, ha studiato a Oxford, vive e lavora in Italia. Cosa l’ha portata in Europa?
Nel 2001 mi iscrissi a una masterclass in Svizzera, con un docente americano, che purtroppo non poté essere presente. Avendo già prenotato e pagato viaggio e alloggio, decisi di andare ugualmente. Lì ebbi la fortuna di conoscere la persona alla quale devo la svolta decisiva della mia vita, Bruno Mezzena. Terminati i corsi a Oxford, mi trasferii in Abruzzo per studiare con lui all’Accademia Musicale Pescarese.
La sua emozione nel citare il maestro Mezzena è evidente. Qual è il più grande insegnamento che le ha lasciato?
Fare lezione con lui era quasi un’esperienza mistica: la musica e lo spartito erano il fulcro del nostro lavoro. Da lui ho appreso l’essenza della musica stessa. Il suo modo di fare con le persone e la sua visione del mondo, meritocratica e intellettualmente onesta, sono stati un grande esempio per me, tanto da costituire la base del progetto Odradek. Durante i suoi corsi ho conosciuto mia moglie, Pina Napolitano, anche lei pianista. Terminati gli studi, decidemmo di incidere insieme un CD, e scoprimmo che avremmo dovuto pensare al progetto, alla registrazione, cercare il fotografo, scrivere il libretto, e soprattutto pagare l’etichetta che avrebbe pubblicato il disco. Pensai quindi di crearne io stesso una che si occupasse di tutto.
E così nacque un progetto che va controcorrente in un mondo che si avvia alla dematerializzazione, ma che resiste e fiorisce, festeggiando quest’anno il primo decennio di attività. Ripercorriamone la storia insieme.
Mi misi al lavoro per concretizzare l’idea ed elaborammo un nostro sistema, un’etichetta senza scopo di lucro che offrisse la possibilità di incidere concentrandosi solo sull’idea e sulla musica: decidemmo di anticipare il 50% delle spese di produzione, che avremmo poi recuperato con le vendite, lasciando i profitti successivi all’artista.
Può capitare di andare in perdita perché i proventi delle vendite non coprono le spese, ma per noi è più importante il valore intrinseco del progetto rispetto al guadagno. La perdita economica è il rischio connesso alla libertà di scegliere in base al valore della proposta musicale.
Ha scelto un nome molto particolare per la sua etichetta. Ce ne racconta l’origine?
Il nome è tratto da un racconto di Franz Kafka ed è legato al paradosso intrinseco in ciò che facciamo. L’Odradek è una creatura misteriosa, che può rappresentare la cultura, il suo valore intangibile e non quantizzabile economicamente, che però, nel momento in cui si concretizza in un supporto fisico come un CD o un libro, deve necessariamente avere un prezzo.
Anche i nostri loghi sono ispirati a Kafka: il primo è un suo disegno, in cui abbiamo trasformato ciò che in origine era una gabbia in una tastiera. Il secondo, creato in occasione del decennale, rappresenta proprio l’odradek, un vecchio rocchetto, che si trasforma in microfono. Verrà presentato a inizio maggio.
Come scegliete i progetti?
Per incidere con noi, l’artista deve mandare una demo attraverso una piattaforma, Anonymuze, che ne mantiene segreta l’identità. Il nostro catalogo è articolato in tre settori: classica, jazz e world music. Gli altri artisti del settore valutano ogni progetto che arriva, senza sapere nulla del proponente, e ne avviene la realizzazione dopo una votazione, in cui basta la maggioranza del 50% più uno perché la proposta venga accettata.
Questo filtro funziona molto bene, mantiene alta la qualità artistica, e crea un catalogo con una programmazione musicale molto interessante.
Non rifiutiamo a priori proposte con repertori già noti, molto battuti, ma ci chiediamo se la versione offerta abbia davvero una marcia in più. Per passare la selezione, l’interpretazione deve avere qualcosa di unico e innovativo.
Due terzi del catalogo di classica sono composti da musica del Novecento. Non è una politica esplicita dell’etichetta ma un risultato del sistema stesso: risultano molto interessanti i programmi di musica novecentesca o quelli legati tematicamente.
Un altro aspetto positivo di questo sistema è che i critici delle riviste sanno come funziona, che artisti come Artur Pizarro, François-Frédéric Guy, Michele Campanella e un giovane al suo primo progetto sono entrati nell’etichetta con lo stesso meccanismo, garantendo la qualità.
La registrazione da inviare deve essere di alta qualità o può essere casalinga?
Va bene anche una demo prodotta nel salotto di casa.
Una volta approvato il progetto, l’artista può avvalersi del nostro studio di registrazione, che può ospitare orchestre fino a 60 elementi ed è dotato di due magnifici pianoforti, uno Steinway D e uno Shigeru Kawai Ex.
Il primo ha una storia che mi fa piacere raccontare: è uno strumento che è stato scelto da Alfred Brendel e Mitsuko Uchida per delle tournée in Europa.
Cosa succede dopo che il progetto ha superato il vaglio degli artisti del roster?
L’artista viene contattato, fornisce i suoi dati, viene fissata la data della registrazione, e realizzato un servizio fotografico.
Se è d’accordo, organizziamo anche un concerto presso lo studio The Spheres della Odradek Records.
Pensiamo anche alla promozione, inviando i CD alle riviste musicali e alle radio.
C’è qualcosa che la rende particolarmente orgoglioso, all’interno del “sistema Odradek”?
Un unicum che ci caratterizza: un testo inserito nel libretto del CD – l’artist statement – che è la prima cosa che si vede appena si apre il disco. È scritto dall’artista stesso e spiega l’importanza del progetto per lui, cosa c’è di nuovo, che legame ha con il repertorio; è un testo emozionale, non biografico. In questo modo si evidenzia la storia che c’è dietro l’incisione, e la registrazione diventa memorabile.
Questo lavoro di scavo interiore fa crescere anche l’autoconsapevolezza dell’artista.
Tutto ruota attorno a questo concetto base: la fotografia, la scelta della masterizzazione, i testi musicologici. Non per niente la nostra compagnia di creative marketing si chiama Vist.co, che sta per Visual Storytelling Company.
Spiegare il perché del progetto crea il profilo dell’artista, e il critico trova un messaggio ben chiaro dichiarato nell’artist statement, e lo fa “risuonare”.
Lei è l’anima della Odradek. Quante persone ci lavorano?
Sei lavorano full time, altri in base al progetto. Siamo una quarantina di persone, sparse in tutto il mondo, lavoriamo molto in smart working.
Tommaso Tuzj è il nostro fotografo e videografo.
Sua moglie Shin Yu Chen si occupa dell’amministrazione dello studio, che affittiamo anche ad altre organizzazioni.
Marcello Malatesta è il nostro fonico. Un secondo fonico, Fabio Cardone, si occupa anche di un altro progetto molto particolare sul canto gregoriano. Poi ci sono il general manager Enrique Valverde, Alicia Vega per il marketing, Ricardo Lopez alla contabilità, Andie Chantzi, la team leader che gestisce ogni project management, Joanna Wyld, autrice dei testi del booklet, e Marco Antonetti, che ne cura la grafica e il layout.
Un secondo team, con a capo Luca Di Bernardo e Burkhard Bartsch, lavora per una compagnia nata a febbraio 2021, la Vist.co, agenzia creativa di marketing per la musica classica. Tommaso, il nostro fotografo, ne è il direttore creativo. E’ una squadra che segue i grandi artisti in tutta Europa per realizzare i video per i loro progetti discografici.
Infine ci sono le due squadre di sviluppatori, gli esperti in musicologia e in audio che lavorano per la Odratek B.V., che gestisce Neumz, Micpedia e B.io.
Abbiamo ampliato tutte queste attività perché sono valide ma anche per creare risorse che possano aiutare a finanziare i progetti dell’etichetta.
Come vede il futuro dei CD? Pensa che resisteranno alla diffusione delle piattaforme di streaming musicale?
Siamo anche su Spotify per essere al passo con i tempi, ma sono sempre convinto che sia più bello avere il disco tra le mani. Il prodotto fisico permette lo storytelling, impossibile su una piattaforma in cui l’ascoltatore non sa chi sta suonando, che progetto aveva in mente, e che mescola la tua musica con quella di altri artisti.
In futuro il formato fisico sparirà, già le automobili non hanno più il lettore CD. La domanda non è “se sparirà”, ma “quando”.
Noi continueremo a produrre i dischi finché saranno graditi. Sono richiesti dagli artisti inquanto indispensabili per avere recensioni ed essere trasmessi dalle radio, ma ritengo che, appena questa necessità verrà meno, gli artisti preferiranno realizzare solo il prodotto digitale.
Come si sta evolvendo la Odradek in un mondo in cui la fruizione musicale è sempre più dinamica e legata ai social e alle app?
Nell’ultimo anno abbiamo realizzato un sistema simile a WordPress – chiamato Sinfon.io – che permette, a basso costo, di realizzare e gestire app pensate appositamente per la musica classica. Gli artisti possono inserirvi il loro catalogo permettendo all’ascoltatore di collegarsi con il proprio account di Spotify, Deezer, Apple Music, all’interno dell’app stessa, in modo da poter fruire del materiale inserito: immagini, testo tradotto nella lingua dell’utente, calendario dei prossimi eventi, backstage, e tutto quello che si vuole inserire. Praticamente tutti gli elementi del packaging. Permetterà anche di realizzare live streaming, senza dover utilizzare YouTube o Facebook e quindi senza interruzioni o inserzioni pubblicitarie.
Abbiamo già delle orchestre che stanno creando con noi la loro prima applicazione. Il loro, in questo momento, è il mercato che ha più bisogno di questo genere di servizio.
Abbiamo appena concluso un progetto colossale, Neumz, la sola registrazione completa di canto gregoriano al mondo. Oltre 7000 ore di registrazione disponibili in un’app per iOS e Android.
Un suo bilancio di questi primi dieci anni di attività?
Ho iniziato da solo e ora siamo più di quaranta persone. L’etichetta Odradek è affiancata e supportata dallo studio The Spheres, da Vist.co e da Odratek. Dopo dieci anni di lavoro, abbiamo un catalogo con più di duecento titoli, aventi ognuno una propria storia, e trovo ancora che l’idea iniziale di dare l’etichetta in mano agli artisti sia la più giusta, etica e meritocratica. Senza gli artisti noi non esisteremmo. Abbiamo creato un gruppo di persone che collabora tendendo all’idea un po’ utopica di come dovrebbe essere presentata la musica.
In Italia la situazione è particolare: ognuno protegge il proprio pezzetto di territorio, senza collaborare con gli altri. Me ne rendo sempre conto quando vado alle fiere musicali: tutte le nazioni mandano un ente che rappresenta la musica del loro paese e si creano le possibilità di creare collaborazioni internazionali. L’Italia invece non sfrutta questo suo immenso bene culturale.
Io amo questa nazione, vivo a Roma e non ho alcuna intenzione di trasferirmi all’estero, ma mi permetto di lamentarmi di questa situazione che crea grande sofferenza in un campo, quello della musica classica, già difficile di suo.
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