di Smeralda Nunnari
<<Una delle opere più profondamente musicali e più deliziosamente delicate>> (Alfred Cortot)
La terrasse des audiences du clair de lune, settimo preludio, nel secondo dei due Livres che raccolgono i ventiquattro Préludes per pianoforte, scritti tra il 1909 e il 1913, da Claude Debussy è certamente il brano più suggestivo dell’intera raccolta. I Preludi rappresentano un omaggio a Fryderyk Chopin e alla sua opera omonima, costituita da ventiquattro brani, ispiratosi a sua volta ai quarantotto de Il Clavicemabalo ben temperato di Johann Sebastian Bach.
Tre mondi musicali diversi, accomunati da un termine musicale antico che grazie a loro si arricchisce di diversi significati nel corso della sua storia: il preludiare degli organisti di chiesa, allo scopo di avviare le voci al canto liturgico, in forma improvvisata, lo troviamo nel Settecento, come brano di apertura della Suite e della Partita, sino a costituire con la Fuga un binomio nell’arte barocca di Bach, per acquisire, alla fine del Settecento, una propria autonomia e divenire una forma musicale a se stante, abbandonando l’aspetto di improvvisato virtuosismo, che assume una intensa espressione lirica dalle forme più vari. E trova nell’ottocento, il massimo esempio nell’arte romantica di Federico Chopin. La forma del Preludio, in Debussy si distacca da quella classica, nel rifiuto di qualsiasi forma codificata, per acquisire i caratteri propri della sua personalità musicale.
L’artista si allontana da entrambi i modelli, ricercando una maggiore libertà formale, con grande originalità stilistica. Il numero dodici e il suo multiplo non sono più connessi alle diverse tonalità in successione, non seguono un ordine preordinato, né nel contenuto, né nelle reciproche relazioni armonico – tonali. Una forma tutta debussyana, che Alfred Cortot descrive con eloquenti parole: «adattato a questa nuova modalità espressiva, il Preludio, con il suo carattere d’improvviso, il valore poetico della sua compendiosità, la sua docilità ad esprimere tutte le idee musicali senza imporre loro i rigori di uno sviluppo prestabilito, doveva offrire a Debussy le risorse di una forma particolarmente favorevole all’attuazione delle sue tendenze. Infatti nessuna delle sue opere per pianoforte ha potuto riflettere più fedelmente dei Preludi la freschezza e la varietà di un’arte che con essi sembra avere perfezionato ancor più il suo potere evocativo».
Sì, proprio così, e aggiungerei che i Preludi segnano l’acme nel pensiero pianistico del geniale compositore francese. Un vero capolavoro che con linguaggio descrittivo, simbolistico e allusivo riesce ad attuare una sintesi emozionante tra lirismo impressionistico, simbolismo sonoro e sperimentalismo.
… La terrasse des audiences du clair de lune (La terrazza delle udienze del chiaro di luna), titolo con cui figura il nostro preludio nella prima edizione, successivamente modificato, da alcuni cataloghi, in La terrazza delle udienze al chiaro di luna, dopo aver cercato probabili fonti, in relazione alle descrizioni storico – giornalistiche di Pierre Loti e di Rene Puaux di palazzi indiani. Poiché proprio leggendo un articolo di Puaux, pubblicato su Le Temps del 10 agosto 1912, in riferimento alla sua visita alla fortezza abbandonata di Amber presso Jaipur in India, Debussy rimane colpito dal racconto dei palazzi deserti di una costruzione fiabesca con “la sala della vittoria, la sala del piacere, i giardini dei sultani, la terrazza delle udienze del chiaro di luna, i corridoi delle regine”. La musica del compositore, però, non contiene influenze indiane, né suggestioni orientali.
Infatti, nel maggio 1926, la “Revue musicale” pubblica un articolo di un musicologo francese, René Godet, in cui l’autore rivela che “La terrasse des audiences du clair de lune” è soltanto un’idea che prende spunto da una frase racchiusa in una corrispondenza da Nuova Delhi al giornale “Le Temps” di Parigi del 1912, con riferimento ai festeggiamenti, avvenuti nella capitale indiana, per l’incoronazione di Giorgio V a imperatore dell’India. Dove, nel corso dell’articolo, trovano descrizione pittoresca ‘la salle des victoires’, ‘le jardin des sultanes’, ‘la salle du plaisir’ e ‘la terrasse des audiences du clair de lune’.
Una notizia data come una semplice curiosità, che riesce, però, a sviare, la convinzione di vedere e sentire in questo preludio la magia dell’Oriente, gli arcani riti indiani, gli incontri amorosi principeschi al chiaro di luna. È evidente che non si tratta di ciò. Il compositore, quindi, legge la frase: La terrasse des audiences du clair de lune e folgorato l’assume a titolo del proprio preludio, senza dare ad esso alcun contenuto d’ispirazione musicale orientale. Una frase suggestiva, dalla cadenza armoniosa, che in francese suona come un verso endecasillabo, dal senso poetico intenso, dove sembra che sia la stessa luna a donare il proprio ascolto, in una terrazza illuminata dalla sua luce.
Tale preludio, “Lent”, “pp”, in fa diesis maggiore, delineato su tre pentagrammi, consente alle due mani di realizzare tre diversi piani sonori e di generare una musica di ampio respiro e estensione, che va dalle note più basse a quelle più acute della tastiera. Tra tutti i brani dei due libri è uno dei più particolari e al contempo complesso. In esso coesistono vari tratti stilistici: accanto a movimenti armonici e a timbri pianistici nuovi riemergono armonie e disposizioni strumentali della prima maturità di Debussy. La composizione segue la curva dinamica, emblematica del romanticismo, con una progressione verso un punto culminante e la sua lenta dissolvenza.
Un dipinto misterioso e vago, descritto dal compositore francese con note sinestetiche ed evocative che, nella parte centrale aleggino e s’insinuano al ritmo di un valzer attraente e voluttuoso. Un pezzo affascinante come l’argentea luna che illumina una terrazza e concede le sue udienze, il cui titolo, collocato alla fine di questa architettura sonora misteriosa, tra parentesi, preceduto da puntini di sospensione, valorizza la straordinaria poesia della sua musica che riesce a farsi immagine, sulla tela dei suoi pentagrammi, come in ogni preludio.
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