di Salvatore Sclafani
In occasione dell’unica data italiana di Liszt – Mosaics dell’Hungarian State Folk Ensemble (MANE), andato in scena al Teatro Repower di Milano il 18 Ottobre 2020, abbiamo voluto intervistare l’ideatore dello spettacolo, il regista e coreografo Gábor Mihályi.
La sua carriera è strettamente legata all’Hungarian State Folk Ensemble, dove ha lavorato prima come ballerino solista (1982-1995), poi come direttore artistico della recitazione e della compagnia di danza (1998-2001).
Tra il 2002 e il 2016, è stato direttore artistico dell’Ensemble, diventandone direttore generale nell’estate del 2016.
Sotto la sua guida artistica, l’Hungarian State Folk Ensemble ha vinto il Béla Bartók Commemorative Award nel 2006, il Prima Award e il Prima Primissima Audience Award nel 2007, e il Pro Budapest Award nel 2014. Oltre alla sua attività con l’Hungarian State Folk Ensemble, ha lavorato, sin dall’inizio degli anni ’90, come coreografo per il Jászok Ensemble, l’Udvarhely Folk Dance Studio, l’Háromszék Dance Ensemble, il Danube Art Ensemble e il Tisza Dance di Szolnok Ensemble. Ha coreografato, montato e diretto numerose produzioni importanti, fra cui i Carnevali del Danubio e programmi culturali legati a feste e celebrazioni nazionali.
Ha vinto premi per la coreografia in diversi festival di danza, fra cui il premio di Coreografo dell’anno dell’Associazione di Danza Ungherese (2000, 2009 e 2013), oltre che dell’EuróPAS Hungarian Dance Award (2007).
Si è laureato in Pedagogia della Danza popolare (1992) e Coreografia (2007) all’Accademia ungherese di Danza.
Qual è il messaggio che uno spettacolo come Liszt – Mosaics vuole trasmettere al pubblico contemporaneo?
Per definire il genere dello spettacolo, uso volentieri l’espressione “concerto-danza”, sottolineando così l’importanza della dimensione musicale all’interno della produzione. In certe scene, l’unico scopo dei movimenti è di illustrare, far vedere la musica; in altre, i movimenti raccontano delle micro-storie su temi costanti ed eterni, come la nazione, l’individuo e la comunità, l’amore, la nostra relazione con Dio, attraverso il filo rosso di alcune composizioni di Ferenc Liszt. Quest’approccio viene sublimato nella sintesi unica fra cultura popolare e musica classica, nella verità eterna di un “movimento di nascita e morte”.
Credo che i valori di uno spettacolo come Liszt – Mosaics possano davvero estendersi a un pubblico internazionale. Il suo messaggio principale è, in fondo, comune a tutti gli spettacoli: offrire un bene intellettuale al pubblico e spingerlo alla riflessione, facendo leva sul suo intelletto e sulle sue emozioni.
Qual è la forza del folklore ungherese e come riesce a toccare popoli anche distanti fra loro? Qual è l’aspirazione dell’Ensemble nel suo voler farsi tramite della cultura ungherese, folklorica e “colta”, con il mondo?
Anche se non penso che la cultura popolare ungherese abbia una forza maggiore rispetto alle culture tradizionali di altre nazioni, credo che nel mondo attuale l’impatto del folklore ungherese risieda nella trasmissione di valori intellettuali secolari. Inoltre, il nostro spettacolo non vuol essere una sorta di oggetto esposto a una mostra, ma una vera e propria esperienza artistica vivibile. La divisione fra i popoli deriva molto spesso da speculazioni politiche: cambiare questa situazione attraverso l’arte è una sfida molto difficile, le possibilità sono limitate. Cosa può offrire quindi l’Hungarian State Folk Ensemble al mondo? Penso che esso rappresenti un precedente unico, tanto europeo quanto ungherese, della sintesi fra tradizione e modernità.
Ritiene plausibile pensare che, globalmente, ogni folklore locale abbia una sua universalità, capace di suscitare un’emozione comune, indipendentemente dalla cultura di origine dell’ascoltatore?
Sì, gli strati profondi delle tradizioni hanno un’origine comune, sono universali e si possono far risalire agli albori dell’umanità. Esistono nazioni che, per vari motivi, hanno perso una parte rilevante delle loro tradizioni. Noi ungheresi siamo fortunati perché, fino alla metà del secolo scorso, le tradizioni pagane d’epoca precristana e le tradizioni arrivate successivamente dall’Europa occidentale convivevano in pace nel mondo rurale. Ritengo che, togliendo la vernice inutile, i cliché, i temi eccessivamente canonizzati e stereotipati, riusciremo ad arrivare a una sostanza universale, capace di colpire le persone che non conoscono necessariamente la cultura popolare ungherese. Alcuni anni fa, durante una nostra tournée in America, uno spettatore americano mi ha detto: ”Non avrei mai pensato di poter ritrovare la mia identità nello spettacolo di un piccolo paese lontano”.
In che modo, nelle sue coreografie, le danze folkloriche tradizionali si fondono con la sensibilità contemporanea? Riconosce nel suo lavoro una possibile influenza del Tanztheater di Pina Bausch?
Nella maggior parte delle mie produzioni non voglio presentare il folklore in maniera “pura”; esso costituisce, piuttosto, un mezzo per comunicare i miei pensieri. La mia sensibilità contemporanea nasce dalla fusione fra elementi della tradizione e uno sguardo attento alle vibrazioni del mio ambiente. I miei temi derivano sempre da questi fattori.
Sono un grande ammiratore di Pina Bausch, l’ho anche incontrata una ventina d’anni fa a Budapest, abbiamo chiacchierato un po’. Se nei miei lavori si possono scorgere caratteristiche attribuibili alla sua arte, potrebbe forse trattarsi solo di una coincidenza in cui si manifestino pensieri simili. Durante i miei studi, ho appreso diverse tecniche contemporanee, che applico quando certi elementi tradizionali rurali o particolari temi richiedano maggior espressività (come nel caso di certi quadri di Liszt – Mosaics). Tali tecniche sono utilizzate ai fini di una sintesi, di un’armonizzazione fra il mondo urbano e quello popolare.
Quant’è importante il folklore per l’Ungheria di oggi? E in ambito accademico, è riconosciuto come vero e proprio corso di studi presso le università e i conservatori?
Inizialmente, sono state le “élites” colte che, in Ungheria, si sono interessate alla cultura tradizionale, in particolare fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Successivamente, la società tutta ha espresso poco a poco la necessità di riscoprire le proprie radici. Adesso, sembra quasi che gli studi sul folklore siano diventati di moda in Ungheria, grazie anche al supporto del governo per le manifestazioni sia amatoriali che professionali. Nel mio Paese esiste un sistema dell’educazione al folklore, accessibile a tutti sin dalle scuole elementari a vocazione artistica. Poi, ci sono i licei professionali di danza, musica e artigianato popolare. All’Università, infine, si possono frequentare i corsi di Danza e Musica popolare. In particolare, all’Accademia ungherese di Danza esiste una cattedra di Danza popolare, oltre a quelle di Balletto e Danza moderna. All’Accademia di Musica, invece, sono attivi i corsi di Musica e Canto tradizionale.
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