di Smeralda Nunnari
«La mia musica deve essere una riproduzione artistica del linguaggio umano in tutte le sue più belle sfumature. Cioè, i suoni del linguaggio umano, come le manifestazioni esterne del pensiero e del sentimento devono, senza esagerazione o violenza, diventare musica vera e accurata.» (Modest Petrovič Musorgskij)
Modest Petrovič Musorgskij (1839-1881), pianista e compositore russo, nasce in una nobile e ricca famiglia a Karevo. Inizia gli studi di pianoforte con la madre e, successivamente, li continua al conservatorio di San Pietroburgo, dove s’iscrive per volontà paterna alla Scuola per cadetti della Guardia Imperiale. Promosso ufficiale di fanteria, nel 1857, frequenta i più brillanti circoli mondani della capitale. Viene presentato da Aleksandr Sergeevič Dargomyžskij ad altri musicisti, tra cui: Cezar’ Kjui, Nikolaj Rimskij-Korsakov e Aleksandr Borodin. Nasce, tra loro, un solido rapporto d’amicizia che dà vita al Gruppo dei Cinque, capeggiato da Milij Alekseevič Balakirev. Insieme creano la scuola nazionale russa e promuovono il recupero della tradizione, per riscattare la musica russa in ogni ambito e genere dalle influenze occidentali. Intanto, l’artista abbandona la carriera militare, per dedicarsi unicamente alla musica.
Nel 1870, il nostro compositore conosce il pittore e architetto Viktor Aleksandrovič Hartmann, tramite il critico d’arte Vladimir Stasov, mentore di entrambi. Tra loro s’instaura un profondo sentimento d’amicizia, perché condividono lo stesso ideale estetico e aspirano a un’arte legata saldamente alle radici della propria tradizione culturale. Ma Hartmann muore improvvisamente, a soli 39 anni, per un aneurisma nel 1873. In suo ricordo, su iniziativa di Stasov e la partecipazione dell’intero gruppo di amici, tra febbraio e marzo 1874, viene organizzata una retrospettiva all’Accademia russa di belle arti di San Pietroburgo, dove vengono esposti quattrocento lavori dell’amico scomparso. Musorgskij, che contribuisce in prima persona prestando alcune opere in suo possesso, resta colpito emotivamente alla vista di tante suggestive iconografie e nel giro di alcune settimane compone la partitura dei Quadri di un’esposizione dedicandoli a Stasov.
In tale Suite per pianoforte, composta da quindici brani, dieci trovano corrispondenza nei titoli dei rispettivi quadri evocati. Mentre le cinque Promenade o passeggiata, rappresentano il movimento e i vari stati d’animo dell’osservatore da una tela all’altra, lungo la mostra. Ogni Promenade, pur con variazioni che riflettono la diversità delle sensazioni provate di fronte alle varie raffigurazioni, presenta sempre lo stesso tema e diviene un leitmotiv. Un elemento di coesione dei forti contrasti tra un soggetto e l’altro, che intervalla alcuni quadri.
La capanna sulle zampe di gallina (Baba Jaga), nono e penultimo episodio nell’architettura dell’opera, viene posta sapientemente tra Catacombe (Sepolcro Romano) – Con i morti in una lingua morta e La grande porta di Kiev. Un feroce scherzo che descrive la leggendaria e folle strega, nella sua capanna ai limiti della foresta. Tale figura, nei racconti russi, viene definita “nonna del diavolo”. E, ancora oggi, i bambini cattivi vengono spaventati con la minaccia che potrebbe arrivare da un momento all’altro per divorarli.
Il brano in do minore, nel metro di due quarti, si estende nei tempi Allegro con brio, feroce – Andante mosso – Allegro molto. Al misticismo macabro del pezzo antecedente, segue un’aggressività grottesca, che rappresenta il progetto di Hartmann per un orologio a cucù, sorretto su zampe di gallina, in stile russo del quattordicesimo secolo, raffigurante la dimora della strega Baba Jaga. La musica riproduce l’incedere demoniaco della strega e, insieme, la paura dell’esploratore nello scrutare il terrificante antro. La scrittura pianistica brutale e selvaggia di questo quadro strutturato in forma tripartita (ABA), con ottave percussive, accompagnamento angosciante, salti e rimbalzi accordali sgraziati e inquietanti impiastricciati da acciaccature, dissonanze, accenti e sforzati, rispecchia ampliandoli gli aspetti grotteschi e mostruosi dello Gnomo, primo dei Quadri. Nella parte centrale, con i rintocchi dell’orologio, nella capanna si avverte un sonoro tutto tremoli di terzine di semicrome ossessivi, tetre e raccapriccianti risonanze, mentre la ripresa tematica coincide con un frenetico inseguimento. Poi, improvvisamente, la coda conduce direttamente alle note de La grande porta di Kiev, che esaltano con toni imponenti e trionfali tutta l’antica storia gloriosa della Russia simboleggiando la possibilità d’accesso verso il futuro.
In tale creazione artistica, costituita da scene popolari, fiabesche, d’infanzia, grottesche e macabre, dalle quali emerge una concezione epica della storia russa, Musorgskij riesce a esprimere i propri sentimenti e a placare la propria sofferenza, in una dimensione di magica vitalità musicale. La varietà e la ricchezza timbrica di quest’opera rappresentano un punto di riferimento assoluto nel repertorio di ogni pianista.
Molti compositori e musicisti si sono cimentati in arrangiamenti, parziali o totali, di questo polittico musicale, ma la versione che si è imposta su tutte contribuendo a rendere popolare l’opera è, indubbiamente, l’orchestrazione di Maurice Ravel del 1922, commissionata da Sergej Kusevickij.
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