di Smeralda Nunnari
«Volevo dare alla musica la libertà che essa contiene forse più di tutte le altre arti, poiché si allarga alle corrispondenze misteriose tra la Natura e l’Immaginazione.» (Claude Debussy).
Le vent dans la plaine occupa il terzo posto tra i dodici Preludi, nel Primo dei due livres contenenti ventiquattro brani per pianoforte di tonalità e ispirazioni differenti, composti rispettivamente nel 1910 e nel 1913 da Claude-Achille Debussy. L’intera raccolta vuole essere un omaggio del compositore francese all’opera omonima di Fryderyk Chopin, ispiratosi, a sua volta, ai quarantotto preludi del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach. I preludi di Debussy si distaccano da entrambi i modelli, per l’assenza di un ordine programmatico e di qualsiasi forma codificata. Alla «memoria di Fryderyk Chopin», Debussy dedica i Dodici studi, ultima sua opera per pianoforte, dando così testimonianza della sua inalterata ammirazione verso l’amatissimo maestro polacco di Madame Mautet de Sivry, sua mentore e suocera del poeta Paul Verlaine.
Debussy, frequentatore di circoli letterari e artistici, nella Parigi dello Chat Noir, luogo d’incontro di artisti e aristocratici, simbolo della loro vita bohémien, diviene amico intimo di molti poeti e pittori. Influenzato dal movimento simbolista francese, affascinato dalla dimensione misteriosa della realtà, del sogno, dalla musicalità della parola, egli condivide con gli impressionisti l’attenzione per la natura, interpretandoli con un proprio linguaggio musicale. Tale da permettergli, al contempo, di ribellarsi a qualsiasi categorizzazione, riguardo la collocazione critica delle sue opere. In una lettera al suo editore Jacques Durand considera: «Sto cercando di fare ‘qualcosa di diverso’ – in qualche modo, delle realtà – ciò che gli imbecilli chiamano ‘impressionismo’, termine questo impiegato malissimo, soprattutto dai critici d’arte».
Nel terzo Preludio, il vento, dopo aver fatto la sua apparizione vespertina in Voiles, brano che lo precede, diventa protagonista assoluto. Il suo titolo riproduce la citazione di un verso del poeta settecentesco Charles Simon Favart, posto da Verlaine a intestazione delle Ariettes oubliées (Ariette dimenticate): Le vent dans la plaine / Suspendson haleine (Il vento nella pianura / Sospende il suo respiro). Qui, il vento, «coro di piccole voci», viene descritto dal poeta in una «tiepida sera», quale lamento dell’anima umana. Il brano in Mi bemolle minore, con le indicazioni Animé – aussi légèrement que possible (Animato – il più leggero possibile) evoca un soffio di vento leggero che diviene più intenso per approdare alle raffiche dei sei bemolle (battuta 28), fino al quietismo delle rapide sestine. Pezzo di bravura, misura di raffinatezza e virtuosismo per ogni esecutore.
Debussy afferma: «Io sono per la libertà. La libertà, per natura, è libera. Tutti i rumori che si possono sentire intorno a voi possono essere resi musicalmente. Si può rappresentare tutto ciò che un fine orecchio percepisce nel ritmo del mondo che lo circonda. Certe persone vogliono per prima cosa conformarsi alle regole; io voglio rendere solo ciò che sento […] Bisogna cercare la disciplina nella libertà e non nelle formule di una filosofia diventata caduca e buona solo per i deboli. Non ascoltare i consigli di nessuno, se non quelli del vento che passa e ci racconta la storia del mondo.» E il vento torna in tutta la sua forza sconvolgente e terrificante in Ce qu’a vu le vent d’Ouest (VII Preludio). Una potenza misteriosa della natura che prende forma, nelle sue tinte deboli o inquietanti, in tre dei dodici Preludi, mostrando quanto il compositore ami immergersi con la propria musica nella libertà illimitata che la contraddistingue.
L’ascolto dei ventiquattro Preludi è paragonabile a una serie di visioni colme di raffinata e allusiva poesia musicale che rivela la magia e la genialità dell’arte debussyana. Dove il linguaggio, caratterizzato da una ricercata libertà formale, diviene, sempre più, originale, descrittivo e simbolico. Veri e propri quadri dal fascino suggestivo, entrati nel repertorio di ogni pianista, come pure nelle preferenze degli ascoltatori.
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