di Smeralda Nunnari
«O Domine Deus! speravi in Te. / O care mi Jesu! nunc libera me. / In dura catena, in misera poena, desidero Te. / Languendo, gemendo et genu flectendo, / Adoro, imploro, ut liberes me.»
(Dallapiccola, Preghiera di Maria Stuarda, tratta dalla Biografia della regina di Scozia, a cura di Stefan Zweig.)
Luigi Dallapiccola nasce il 3 Febbraio 1904 a Pisino d’Istria, territorio dell’allora Impero Austro-ungarico, oggi Croazia, da genitori di origine trentina. E’ stato un compositore e pianista, tra i primi ad approdare, in Italia, sul finire degli anni ‘30, alla dodecafonia. Le sue composizioni sono caratterizzate da intenso lirismo e da profondi contenuti spirituali e ideali. Ha costituito una figura guida per tutta la generazione, da Luigi Nono e Luciano Berio, fino ai compositori americani ed europei. In lui si fondono il rigore del sistema dodecafonico e il recupero dei massimi valori della tradizione musicale e umanistica italiana. Può essere considerato, a tutti gli effetti, uno dei quattro padri della dodecafonia, insieme a Schönberg, Berg e Webern.
Egli vive in prima persona le sofferenze legate alle due guerre mondiali: nel corso della prima subisce il confino a Graz, con tutta la famiglia, poiché il liceo-ginnasio di Pisino, dove il padre insegna latino e greco ed è preside, viene considerato dalle autorità un Trotz-Gymnasium, covo di ostilità e centro segreto di irredentismo, viene soppresso, a seguito di tali accuse, il padre è dichiarato politisch unvervlässlich. Nella città austriaca, nonostante le difficoltà economiche, il tredicenne Luigi frequenta con assiduità il Teatro dell’Opera, assistendo a oltre ottanta rappresentazioni, conoscendo approfonditamente Beethoven, Mozart, Verdi e Wagner. Il 18 maggio 1917, dopo l’ascolto di Der fliegende Holländer, opera nota come L’olandese volante o Il vascello fantasma, prende la decisione di dedicarsi alla musica. Una vera epifania.
Alla fine del primo conflitto mondiale, rientrato nella natìa Pisino, riprende gli studi liceali, e continua lo studio della musica, nella vicina Trieste, con Alice Andrich Florio, per il pianoforte e Antonio Illersberg, per l’armonia: quest’ultimo gli fa conoscere sia la tradizione polifonica italiana del Cinque-Seicento, sia esperienze musicali contemporanee, fra cui opere di M. Ravel e A. Schoenberg. Del 1919 è il primo contatto con la musica di C. Debussy, dapprima attraverso composizioni pianistiche come La cathédrale engloutie, mentre datato 30 agosto 1921 è l’acquisto a Trieste del manuale Harmonielehre di Schoenberg. Il libro è per lui una rivelazione: «How life begins», così commenta, con citazione joyciana, la prima lettura del libro. E, qualche anno dopo, afferma: «il mio orientamento fu deciso la sera del 10 aprile 1924, quando vidi, sul podio della Sala Bianca di palazzo Pitti Arnold Schoenberg dirigere il suo Pierrot lunaire…». Nel 1922, Dallapiccola si trasferisce a Firenze, meta tradizionale per intellettuali e studenti triestini, qui completa gli studi pianistici al conservatorio Luigi Cherubini e inizia la sua carriera pianistica e compositiva.
Nel corso della seconda guerra, deve sopportare le persecuzioni razziali, contro la moglie Laura Coen Luzzatto, ebrea, ottomana di nascita. Il compositore reagisce ai grandi drammi vissuti, personalmente, traducendoli in opera d’arte. Il suo percorso dodecafonico, intriso d’una profonda ricerca spirituale, si svolge attraverso innumerevoli composizioni, come protesta all’orrore delle leggi razziali.
Nel 1938 nascono i Canti di prigionia, per coro due pianoforti, due arpe e percussioni. La genesi dell’opera trova descrizione nelle parole stesse dell’autore: «Stavo lavorando alla mia prima opera Volo di notte quando presero a circolare strane voci che il fascismo potesse dare il via, dopo l’esempio hitleriano, ad una campagna antisemita… Avrei voluto protestare, ma insieme sentivo che ogni mio gesto sarebbe stato vano. Solo attraverso la musica avrei potuto esprimere la mia indignazione… Proprio in quei giorni avevo terminato la lettura della Maria Stuarda di Stefan Zweig in cui avevo scoperto una breve preghiera scritta dalla regina negli ultimi anni di carcere. Tuttavia, un solo brano mi sembrava troppo poco per esprimere completamente la mia protesta. Dovevo cercare altri testi, di altri prigionieri famosi». Il compositore trova e sceglie gli altri due testi, attingendo dal De consolatione philosophiae di Severino Boezio, l’Invocazione per la parte centrale e dalle Meditazione sul salmo In te Domine speravi di Girolamo Savonarola, il Congedo per la parte finale. L’opera, articolata in tre parti, mantiene un ciclo unitario, sia dal punto di vista linguistico, basandosi su un’unica serie dodecafonica, sia per l’aspetto tematico, poiché il trittico riunisce tre preghiere di prigionieri famosi della storia europea.
Segue Il prigioniero, composto tra il 1944 – 48, su libretto proprio, tratto da due fonti: La torture par l’espèrance di Villiers de l’Isle-Adam e La lègende d’Ulenspiegel et de Lamme Goedzak di Charles de Costerin. L’opera, in un prologo e un atto unico, costituito da quattro scene e due intermezzi corali, con un’intensa trama simbolica, delinea l’ultima tortura assegnata a un prigioniero, condannato a morte dall’Inquisizione di Spagna e giustiziato dopo essere stato indotto a sperare nella riconquista della libertà e dopo averne assaporato l’illusione.
Un senso di profondo dubbio esistenziale, di disperata tragicità, caratterizza tutte le sue opere, nate in questo periodo e quelli immediatamente successivi. Il primo dicembre del 1944 viene alla luce la figlia di Luigi e Laura, che viene chiamata Annalibera, per l’incontenibile gioia della ritrovata libertà.
Nel 1952, con il Quaderno musicale di Annalibera e, nel 1953, con Goethe-Lieder (cioè due omaggi famigliari, a sua moglie Laura e a sua figlia), Dallapiccola raggiunge la piena maturità nell’utilizzo della dodecafonia. Il Quaderno, commissionato per incarico del Pittsburgh International Contemporary Music Festival, è dedicato dal compositore: «alla mia cara bambina, nel giorno del suo ottavo compleanno».
L’opera si compone dei seguenti pezzi: Simbolo; Accenti – Contrapunctus primus; Linee – Contrapunctus secundus (Canon contrario motu); Fregi – Andantino amoroso e Contrapuctus tertius (Canon cancrizans); Ritmi – Colore – Ombre; Quartina. Già dai titoli si evince come il Quaderno rientri nel neo-fiamminghismo del Dallapiccola, in cui i procedimenti canonici della polifonia del Quattrocento vengono integrati nella tecnica dodecafonica. Nella successione di undici brevi pezzi pianistici, il Quaderno unisce un magistrale uso di procedimenti canonici ad un’intima delicatezza di espressione, segnando un primo passo in questa direzione, con l’eliminazione dei raddoppi di ottava e delle false relazioni di ottava. È evidente, inoltre, in quest’opera, quella ricerca, in campo ritmico, rivolta, da una parte, verso una sempre più grande libertà ritmica e metrica (designata dall’autore, con il termine schwebender Rhytmus), dall’altra, all’uso di criteri proporzionali, nella determinazione delle durate, che costituisce un tratto distintivo di tutte le sue opere posteriori.
Il Quaderno è alla base di una successiva opera, i Canti di liberazione che, ricollegandosi idealmente ai Canti di prigionia e al Prigioniero, concludono la meditazione dell’autore sul tema della prigionia e della libertà con una rinnovata affermazione di fede.
Il trittico dei Canti di liberazione si apre con un’invocazione alla libertà che si riallaccia al finale de Il Prigioniero. La scrittura dodecafonica, assolutamente personale, in cui le note sono sganciate dal dominio di una tonica, diventa metafora di un nuovo Umanesimo, in cui si intreccia una solidissima cultura musicale che attinge alla tradizione italiana dei madrigali, del cantus firmus e una coloritissima capacità di orchestrazione. Nel primo canto, in tempo molto lento e flessibile, su un testo di Sebastiano Castellio, un oppositore di Giovanni Calvino, in un’atmosfera musicale fortemente cupa, esorta a credere negli ideali di tolleranza e libertà: «O frater, frater… si esset firma fides nostra, fierent in nobis divina… Obmutescant qui negant expugnari posse Chananoeos: ipsi in solitudine Moriantur, et qui crediderint intrent in Chananoeam». Il secondo canto, tratto dal libro dell’Esodo, molto animato con impeto, propone l’idea di un Dio vincitore: «Dominus quasi vir pugnator: omnipotens nomen ejus. Currus Pharaonis, et exercitum ejus projecit in mare: electi principes Ejus submersi sunt in mari rubro: Abyssi operuerunt eos: descenderunt in profundum quasi lapis.». Il tempo veloce conferisce all’episodio una forza impetuosa di grande effetto e insieme una grandiosità tragica. Il terzo canto traspone in musica un brano dalle Confessioni di Sant’Agostino, con tempo lento e sonorità misteriose e cangianti: «Vocasti, et clamasti, et rupisti surditatem meam. Coruscasti, splenduisti, et fugasti caecitatem meam. Frugasti, et duxi spiritum, et anhelo Tibi. Gustavi; et esurio, et sitio. Tetigisti me, et exarsi in pacem Tuam.»
Considerando nel suo complesso l’opera del Dallapiccola è possibile individuare degli elementi che la percorrono sin dall’inizio, pur nella continua sperimentazione linguistica. Basti pensare alla coerenza delle tematiche dell’artista, sempre rivolto ad indagare questioni fondamentali come la problematicità della condizione umana, il senso della solitudine e del dolore, la meditazione sulla morte, la ricerca e il colloquio con Dio; e in dialettica contrapposizione con questa tensione verso la trascendenza, il dichiarato aggancio agli eventi contemporanei, non solo nelle opere nate negli anni della guerra.
In tempi di guerra e anniversari di liberazione, queste opere d’arte di grande qualità nate da riflessioni profonde e altissime e la vena tragica dei Canti di liberazione di Dallapiccola, che non concedono catarsi, né prospettive ottimistiche o giubilanti, provano che la conquista della libertà non è un fine che si raggiunge una volta per tutte, ma ha una sua precarietà e l’uomo, come in un eterno ritorno, deve riconquistarla, in situazioni storiche sempre nuove e diverse.
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