L’universo musicale della famiglia Bach. Intervista a Orazio Sciortino.

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di Maria Musti

Speciale Cremona Musica 2024

Orazio Sciortino, quarantenne pianista, compositore e direttore d’orchestra, siracusano di nascita e milanese di adozione, ha una discografia ricca e articolata, che spazia dalle opere pianistiche di Adolfo Fumagalli alle trascrizioni wagneriane di Carl Tausig. Il suo ultimo cd, allegato al numero di settembre di Classic Voice e intitolato Fantasie, Fughe e Sonate, è dedicato al repertorio di Johann Sebastian Bach e dei suoi figli musicisti: Carl Philipp Emanuel, Johann Christian e Wilhelm Friedemann. Lo abbiamo incontrato nell’ambito della sua partecipazione a Cremona Musica International Exhibitions and Festival, dove ha presentato questo suo ultimo lavoro discografico.

 

Com’è nato il suo interesse verso questo repertorio?

Qualche anno fa ho inciso, con l’Orchestra di Padova e del Veneto, un cd dedicato a Carl Philipp Emanuel Bach, comprendente concerti e brani solistici. Tempo prima avevo analizzato dei suoi lavori per scopi didattici, per la mia classe di Contrappunto e composizione al Conservatorio di Parma, e più ne approfondivo lo studio più ne apprezzavo la grandezza. La sua figura assomma l’anima di fine compositore, grande contrappuntista, esperto improvvisatore, ma anche importante teorico, e unisce Barocco e Classicismo, come maestro dei maestri. Secondo Mozart “lui è il padre e noi siamo i figli”. Passare a interessarmi anche ai suoi fratelli, dunque, è stato naturale, anche se il loro legame familiare sul piano musicale presenta aspetti conflittuali. Si tratta, infatti, di universi totalmente diversi, che daranno vita a percorsi differenti nel Settecento europeo. Studiare questo repertorio ci consente di indagare la complessità di un secolo cruciale per lo sviluppo della musica moderna.

 

Lei è anche compositore, e infatti ha arricchito i brani, come era prassi all’epoca, con ornamentazioni.

Certamente. Il trattato di Carl Philipp Emanuel Bach è stato il mio riferimento principale. Ho lavorato da compositore-ricercatore, rivedendo i brani secondo la prassi barocca, ma senza dogmaticità. Ai tempi i musicisti passavano da un clavicembalo a un clavicordo, sino ad arrivare al fortepiano, e qualcosa funziona meglio su un tipo di tastiera, qualcos’altro magari meno. Pertanto l’ornamentazione va definita in base allo strumento che si utilizza. È importante inoltre ricordarsi che anche il basso continuo richiede creatività: ci sono delle regole da rispettare, certo, ma sono necessari estro e ricerca espressiva, non solo filologia, per dar vita a un’esecuzione brillante.

 

Come mai, nonostante l’importanza che i figli di Bach hanno avuto nella storia della musica, i loro brani non sono entrati stabilmente nel repertorio, soprattutto pianistico?
Per molte ragioni. Innanzitutto le loro composizioni non hanno avuto presa sui grandi interpreti del Novecento, che non le hanno ritenute interessanti per via della mancanza di virtuosismo. Poi c’è da sottolineare che la musica antica si è riaffermata gradualmente, e non da molto: il vero boom si è avuto negli anni Duemila. Ricerca musicologica e prassi esecutiva appartengono, quindi, a un tempo recente – pensiamo al rinato interesse per la figura di Carl Philipp Emanuel in occasione del terzo centenario della sua nascita, nel 2014.

 

Proseguirà il lavoro di approfondimento sulla famiglia Bach?

È un ambito di ricerca che mi interessa molto. Mi piacerebbe in futuro concentrarmi proprio sulla produzione di Carl Philipp Emanuel Bach, immensa e affascinante.

 

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