Oltre le frontiere del pianismo classico. Intervista a Gabriele Baldocci

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di Salvatore Sclafani

Nel panorama musicale contemporaneo, il pianismo di Gabriele Baldocci è sicuramente fra i più completi e versatili. Con un’importante carriera internazionale che lo ha visto esibirsi in alcune fra le più prestigiose sale al mondo, come il Teatro Colón di Buenos Aires, il Palau de la Música di Barcellona e l’Auditorium Parco della Musica di Roma, e spesso protagonista di concerti in duo con la leggendaria Martha Argerich, Gabriele Baldocci è un musicista eclettico, ben presente come interprete e improvvisatore sulla scena attuale della musica classica. Ma non solo. Convinto sostenitore della necessità di superare le barriere fra generi e stili musicali, nel suo ultimo album Sheer Piano Attack unisce il pianismo d’ispirazione lisztiana ai grandi successi dei Queen.

Il 10 dicembre scorso, Baldocci si è esibito all’Auditorio Nacional di Madrid per la stagione 2020 de La Filarmónica. Ha debuttato con Around Beethoven, un recital pianistico che racconta il compositore tedesco attraverso una visione prismatica: alla Sinfonia n. 5 in do minore, op. 67 nella trascrizione per pianoforte di Franz Liszt, seguono opere contemporanee ispirate al repertorio beethoveniano, prima di concludere con una sezione finale dedicata all’improvvisazione classica.

Il significato particolare di questo concerto non è però esclusivamente legato al suo concept: si è trattato, infatti, di un vero e proprio “evento”, viste le difficoltà attuali del mondo dello spettacolo in Italia e all’estero. Abbiamo quindi voluto intervistare Gabriele Baldocci, chiedendogli di raccontarci le sue impressioni e reazioni prima, durante e dopo il debutto di Around Beethoven.

 

Che emozioni hai provato a tornare sulla scena dopo tanto tempo visto il periodo attuale, in cui in diversi Paesi le sale da concerto sono chiuse al pubblico?

È stato senza dubbio il più lungo periodo senza concerti dall’inizio della mia carriera. La prima esecuzione del recital proposto a Madrid, dal titolo Around Beethoven, doveva avere luogo a Marzo, ma è potuta andare in scena soltanto a Dicembre… Avevo delle grandi tournée in Brasile, negli Stati Uniti e in Cina, purtroppo annullate. Sono quindi rimasto in Inghilterra e mi sono dedicato quasi esclusivamente all’insegnamento, un’attività che adoro.

Poi, dopo la conferma del concerto del 10 Dicembre in Spagna, confesso che inizialmente ho vissuto con apprensione un imminente ritorno sul palco. Mi sono sorpreso di questa reazione, per me piuttosto rara, in particolare negli ultimi anni. Suonare in pubblico diventa con il tempo quasi una consuetudine, un’occasione di condivisione artistica ed emotiva con il pubblico; ma quando perdi il contatto con la scena, ti sembra quasi di realizzare un’attività fuori dal normale. Sono stato assalito da dubbi e incertezze e sembra assurdo dirlo, stavo quasi sperando che il concerto venisse cancellato, così da non dover andare (ride) … Ma si trattava di un evento importante in un luogo prestigioso, un anno dopo il mio ultimo concerto a New York, nel 2019.

Avrei voluto debuttare con Around Beethoven già nelle settimane precedenti al 10 Dicembre, prima di proporlo a Madrid. Invece, mi sono trovato improvvisamente in una sala enorme, con il salto nel buio rappresentato da questo programma da eseguire per la prima volta. Fortunatamente, arrivato in sala poco prima del concerto, sono stato colto da emozioni bellissime: è stato un vero e proprio ritorno a casa. A questo proposito, vorrei farti partecipe di una mia riflessione, nella speranza che possa risultare utile ai colleghi musicisti: credo che in questi ultimi mesi, in cui noi artisti siamo stati obbligati a una pausa, si sia perso il senso di competizione. Non credevo di aver mai veramente provato questo sentimento, perché non sono un invidioso; al contrario, sono privilegiato ad avere una bella carriera di concertista e insegnante. Tuttavia, mi sono reso conto di come, a livello latente, la mia attività fosse in qualche modo influenzata anche dal paragone con gli altri, una percezione spesso amplificata dai social media, sicuramente. Così, durante questo periodo di assenza di tutta la nostra categoria dalle scene, ho realizzato di aver dato, talvolta, eccessiva importanza ad alcuni aspetti marginali ed esteriori del mestiere di musicista: ad esempio, il numero di concerti eseguiti in un anno. Adesso, tali considerazioni mi sembrano vuote e superficiali. Ho riscoperto la gioia di essere pianista semplicemente perché amo il mio mestiere e il contatto con il pubblico. Mi sento sinceramente libero dall’ossessione della carriera, da quel tarlo che porta ad accumulare date e concerti quasi per non perdere il treno del successo. È una rinascita. Mentre suonavo a Madrid, l’unica cosa che mi interessava era la condivisione dell’esperienza con gli spettatori. E sono felice di aver aperto gli occhi.

 

Parlaci del recital Around Beethoven.

Il concept nasce sulla scia di due progetti ai quali sto lavorando da alcuni anni.

Il primo consiste nell’incisione per l’etichetta Dynamic dell’integrale delle trascrizioni lisztiane per pianoforte solo delle Sinfonie di Beethoven. Quest’anno avrei dovuto dedicarmi alla registrazione dell’ennesimo disco della raccolta, ma purtroppo non è stato possibile: per me è molto importante che ci siano determinate condizioni, come la disponibilità di un pianoforte Borgato, che non rende semplice la realizzazione di questo lavoro fuori dall’Italia. La Sinfonia n. 5 nella trascrizione di Liszt rappresenta sicuramente il fulcro del programma di Around Beethoven.

Il secondo progetto alla base di Around Beethoven è quasi un’utopia. Da tempo, sto cercando di abbattere le barriere tra stili musicali. Per me esiste soltanto la bella musica, indipendentemente dai generi e dalle epoche. Ciononostante, ritengo altrettanto importante evitare il crossover, la commistione semplicistica di stili. Mi sono allora chiesto come avrei dovuto intendere la fusione fra generi per abbracciare un pubblico più ampio, senza però scadere nell’easy listening. La formula che ho trovato è stata quella già percorsa dai grandi musicisti del passato, non soltanto compositori, ma anche performer e soprattutto improvvisatori. Si tratta di una figura venuta un po’ a mancare soprattutto nella seconda metà del Novecento, in cui il pianista è diventato ultra-specializzato nel suo ruolo di interprete. Per tale ragione, ho voluto lavorare sul concept di Around Beethoven, un recital “attorno” alla figura di Beethoven, che non preveda l’esecuzione di opere pianistiche del compositore. Alla trascrizione di Liszt della Sinfonia n. 5 segue una mia Bagatella, ispirata alle Sei Bagatelle, op. 126 di Beethoven, e due brani da me commissionati a Douglas Finch e David Winkler. Come è mia abitudine, ho lasciato carta bianca ai compositori, dando loro poche indicazioni iniziali, ispirate a Beethoven. Il concerto si chiude con due mie improvvisazioni, una sulla Sinfonia n. 5, l’altra… scelta dal pubblico: il mio intento era quello di tornare idealmente alle cronache dell’arrivo di Beethoven a Vienna, e ai concerti in cui si racconta di come il compositore si esibisse non solo nell’interpretazione dei suoi brani, ma anche in abili improvvisazioni, spesso con temi suggeriti dal pubblico.

 

Si trattava di creare, insomma, un ambiente di tipo beethoveniano, far percepire l’identità e il contesto del compositore?

Sì, in qualche modo. Non avevo mai eseguito un concerto di questo tipo: è stata sicuramente una scommessa, ma sono felice della reazione del pubblico e della critica e penso che continuerò a proporre questa formula. Nel mondo classico abbiamo purtroppo perso la tradizione del pianista improvvisatore ed è un peccato che sia quasi esclusivamente appannaggio del jazz. Siamo ormai in pochissimi ad incarnarla. Si tratta di una figura che mi è sempre stata molto a cuore e spero di farla ritornare in auge con la mia attività.

 

A proposito delle trascrizioni di Liszt delle Sinfonie di Beethoven: quali sono gli elementi che le differenziano maggiormente dalle opere originali? A livello timbrico, il passaggio dall’orchestra al pianoforte è sicuramente importante.

L’aspetto che più mi intriga in questo processo è la genialità del Liszt trascrittore. Ovviamente, concentrare la voce di 50 o 60 strumenti nelle dieci dita del pianista impedisce una piena analogia fra le due versioni. Per quanto sia uno strumento versatile, la natura del pianoforte non è paragonabile a quella degli strumenti ad arco o a fiato… Tuttavia, Liszt riesce ad aggirare con grande efficacia tali limiti. Nelle sue trascrizioni (insolitamente) fedeli all’opera originale, si percepisce l’immenso rispetto che l’ungherese nutriva per Beethoven: la presenza di Liszt si riscontra quasi esclusivamente nelle soluzioni timbriche, nel trasporre al pianoforte i colori dell’orchestra. Pur nell’estrema, quasi utopistica difficoltà tecnica di realizzazione di certi passaggi, l’essenza della trascrizione resta beethoveniana. Per via della loro completezza, che scaturisce dall’incontro fra la forma beethoveniana e il pianismo lisztiano, consiglio a tutti i pianisti la lettura e lo studio delle trascrizioni delle Sinfonie. A prescindere dalla loro difficoltà, ragione principale per cui non sono comunemente inserite nei programmi da concerto, si tratta di opere dal grande valore didattico. E poi, non c’è niente di più bello che suonare una Sinfonia di Beethoven al pianoforte!

 

Nel programma di Around Beethoven, la tua Bagatella in Sol maggiore è dedicata a Martha Argerich. Quanto è stata importante nella tua vita la presenza di questa grande pianista?

Sin dalla mia infanzia, Martha ha rappresentato un vero e proprio mito per me. Siamo molto amici e mi sento di dire che è la persona a cui devo tutto. Da lei ho imparato moltissimo, senza che sia mai stata la mia “insegnante”, ma semplicemente grazie alla fortuna di essere vicino a una persona come lei. Ha creduto in me sin dall’inizio della mia carriera, abbiamo suonato insieme in più di trenta concerti, abbiamo realizzato un disco insieme, mi ha presentato al mondo del concertismo… Le voglio un bene infinito e rappresenta una stella polare costante nel mio quotidiano.

 

Da diversi anni insegni Pianoforte a Londra, al Trinity Laban Conservatoire of Music & Dance. Inoltre, hai da poco integrato il corpo insegnante della Purcell School of young musicians. Come vivi la tua esperienza di docente italiano in Inghilterra?

Il mio arrivo a Londra è legato alla nascita di mio figlio. All’epoca insegnavo in Italia, al Conservatorio di Potenza, ma io e mia moglie nutrivamo il desiderio di affrontare un’esperienza internazionale. Così decidemmo di partire prima che mio figlio nascesse, perché altrimenti si sarebbe radicato in Italia e sarebbe stato più difficile partire. Mandai diverse candidature all’estero, fra cui quella al Trinity Laban Conservatoire of Music & Dance. Mi offrirono il posto e la cosa mi sorprese molto: in Italia si ha spesso l’impressione che sia quasi impossibile accedere a dei ruoli di rilievo senza una connessione, senza un contatto precedente. Ho potuto toccare con mano cosa significhi la meritocrazia in altri Paesi. Non avevo alcun tipo di carriera nel Regno Unito, ho sostenuto la prova didattica e il colloquio da perfetto sconosciuto.

Quest’anno, inoltre, mi è stato proposto di insegnare alla Purcell School of young musicians. Sono particolarmente entusiasta, perché adesso la mia attività didattica abbraccia praticamente tutte le fasce di età, dai ragazzi poco più che bambini ai dottorandi. Il livello è elevato e si lavora nelle migliori condizioni, con ottimi musicisti. Per un insegnante, è una grande soddisfazione misurarsi con studenti così preparati. E in particolare nel caso della Purcell School, il lavoro con studenti talentuosi e giovanissimi, vivaci e reattivi, è estremamente stimolante. Tramandare la mia scuola pianistica, che da Leon Flesicher e Artur Schnabel arriva fino a Beethoven (!) è una responsabilità che mi sta molto a cuore.

 

Il tuo pianismo versatile ti ha portato a lavorare anche con un gruppo rock progressivo: i The Gift. Come sei arrivato a questa collaborazione, apparentemente insolita?

Diversi anni fa, durante una conversazione con Martha Argerich a proposito di cosa ci sarebbe piaciuto fare se non fossimo divenuti pianisti classici, dissi che sarei stato felice di suonare in un gruppo rock. Poi, espressi questo mio pensiero sui social, quasi senza pensarci. Purtroppo nel nostro mondo c’è un eccessivo snobismo al riguardo. Ma sin da bambino, sono stato un grande fruitore di qualsiasi genere di musica: rock, classica o jazz.

Una mia lontana conoscenza lesse il mio post e mi mise in contatto con Mike Morton, il cantante dei The Gift, che proprio in quel momento stava cercando un tastierista. Mi propose di suonare con loro: risposi con entusiasmo e andai comprare… una tastiera! Ho potuto, così, fare esperienza di un altro mondo musicale, che non avevo mai conosciuto da pianista classico e che mi ha aperto diverse strade. È stato davvero sorprendente incontrare tanti musicisti del rock, a volte senza vere e proprie competenze teoriche, ma estremamente disinvolti e creativi sul piano della tecnica strumentale e dell’improvvisazione. Ho scritto anche dei brani per i The Gift, portando con me un po’ del repertorio classico, evitando tuttavia il crossover. Ho partecipato a diversi festival in Inghilterra, spesso con folle di pubblico incomparabili rispetto alle platee dei concerti di musica classica. Immagina l’adrenalina e la soddisfazione di sentir cantare i ritornelli dei pezzi scritti da te! Purtroppo, in questi tempi difficili legati alla pandemia, anche la mia attività con i The Gift è in stand-by, ma spero di tornare a suonare con loro in futuro.

Grazie a questa mia esperienza ho conosciuto dei musicisti fantastici: per esempio, Anthony Phillips, uno dei fondatori dei Genesis. Chitarrista straordinario, lasciò il gruppo a causa dell’ansia da palcoscenico. Decise così di prendere un diploma in composizione e attualmente è attivo nella realizzazione di colonne sonore. Ha anche scritto un brano per me e Martha, Gemini, eseguito per la prima volta in occasione del nostro ultimo concerto a Barcellona, nel 2018. E a Madrid, il 10 Dicembre, ho suonato come bis un brano di Geoff Westley, già arrangiatore di Battisti e Baglioni. Ho ricevuto il suo pezzo poco prima del concerto e l’ho trovato delizioso. Il pubblico, poi, lo ha adorato.

Mai come oggi è fondamentale essere open-minded, il che non implica abbassare la qualità della musica proposta. Significa, al contrario, imparare da ogni genere quegli elementi che possiamo sfruttare in maniera intelligente e personale.

 

Foto: Luca Sage.

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