Passione e Tradizione. Intervista a Vincent Dubois.

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di Biagio Quaglino

Concertista internazionale, riconosciuto come uno dei punti di riferimento per l’interpretazione del repertorio organistico francese, oltre che raffinato e talentuoso improvvisatore, Vincent Dubois, classe 1980, vanta una carriera di alto livello.

Nel 2008 era già direttore del Conservatoire à rayonnement régional di Reims e dal 2011 è alla guida del Conservatoire à rayonnement régional e all’Académie supérieure de musique di Strasburgo.

Dopo gli studi in Organo a Parigi nella classe di Olivier Latry, nel 2002 ha vinto due importanti concorsi organistici, la Recital Gold Medal all’International Organ competition di Calgary e il Grand Prize all’International Competition di Toulouse.

Regolarmente invitato a suonare per importanti festival internazionali, affianca la sua poliedrica attività concertistica a quella d’insegnante, tenendo spesso masterclasses per importanti istituzioni, solo per citarne alcune: Yale University, Eastman School of Music in Rochester, Curtis Institute of Music in Philadelphia, Oberlin College, Baylor University, St. Paul University, Emory University e University of Michigan dove è stato continuing guest artist dal 2014 al 2016. È infine docente di organo presso la Musikhochschule di Friburgo.

Dal 2016, è titolare dei grandes-orgues di Notre-Dame a Parigi, insieme a Olivier Latry e Philippe Lefebvre.

 

Partiamo dalle origini, si dice che lo strumento sceglie il musicista. Com’è stato per te?

Ho scoperto l’organo quando avevo circa sette anni, nella cattedrale della città dove sono nato a Saint-Brieuc c’è uno strumento costruito da Aristide Cavaillè-Coll, il suo suono era magnifico e impressionante, mia madre mi portò a messa e lì l’ho ascoltato per la prima volta ed è stato come uno shock per me. Così le dissi: “Bene, voglio imparare a suonarlo”.

È stata una rivelazione, il suo suono per me veniva dal cielo o dal paradiso. Ero totalmente impressionato come qualcosa che mi scuotesse dall’interno. Così, in attesa che crescessi e che i miei piedi arrivassero alla pedaliera, studiai pianoforte, fino a undici anni circa, quando cominciai effettivamente a studiare organo.

 

Conoscere la scuola organistica francese è molto importante per chi vuole affrontare il repertorio romantico. Nell’albero genealogico degli organisti francesi, c’è una linea diretta che ti collega a Louis Vierne, passando per Marcel Duprè, Gaston Litaize fino ad arrivare a Oliver Latry, con cui hai studiato. È un’eredità musicale da tramandare soprattutto ai giovani.

Il mondo organistico francese, i compositori, gli organi, i differenti stili fanno parte di me. Certamente è importante tramandare alle nuove generazioni questa eredità, condividerla nel modo migliore possibile, altresì mi piace trovare nuove idee nell’interpretazione della musica, avere punti di vista diversi e cercare di portare qualcosa di nuovo e personale, nel modo di comprendere e orchestrare il repertorio organistico, non soltanto sugli organi francesi, ma anche su quelli appartenenti ad altre scuole nazionali. In questo caso per esempio è necessario saper rendere il miglior suono possibile con originalità.

Queste sono le cose che in origine mi motivano e alimentano la mia passione verso l’insegnamento dell’organo. Sono felice di condividere con i miei allievi le mie conoscenze e il mio punto di vista artistico sulla musica.

 

La cosa più importante che insegni nelle tue lezioni.

 La cosa più importante da insegnare agli organisti, ma direi a ogni musicista, è comprendere la volontà del compositore, rispettare ciò che ha scritto, sapere com’è organizzato il discorso musicale, cosa mettere in risalto, conoscere la forma di una composizione.

Sia per quanto riguarda la musica francese, ma anche per il repertorio tedesco o qualsiasi altro brano, è importante capire cosa fare e come esprimerlo con il materiale che il compositore ci ha dato. Dopo arriva la tecnica, ugualmente importante, che aiuta a realizzare il discorso musicale e a tradurre le idee del compositore in musica.

Per gli organisti inoltre è molto importante conoscere l’uso dei registri adatti che aiutano a mettere in risalto la volontà del compositore, si dovrebbero scegliere sempre con molta cura, poiché, a volte, neanche si conoscono le ragioni di determinate scelte e di conseguenza si perde di vista ciò che si vuole esprimere.

 

Hai vinto due importantissimi concorsi organistici internazionali. Oltre alle tante ore di studio, come ti sei preparato dal punto di vista fisico, emotivo e psicologico per queste importanti esperienze che ti hanno aperto la strada del concertismo internazionale?

 Non ho mai riflettuto sulla questione psicologica, fisica o emotiva del preparare un concorso o un concerto. In realtà è una cosa che va molto di moda e se ne parla tanto all’interno del percorso di studi in tutti i Conservatori.

Per me la cosa più importante è entrare in empatia con la musica, con i linguaggi musicali, con il mio mondo interiore, sentire in maniera istintiva il bisogno di fare musica. Se non senti questo desiderio intimo, questa forza dentro di te, non puoi fare musica. Qualsiasi brano tu voglia suonare, che sia per un concorso o un concerto, per una registrazione o semplicemente per te stesso, l’importante è arrivare a suonare con la giusta maturità. Voglio dire che non basta leggere le note e cercare di andare in profondità, a volte è necessario studiare un brano, lasciarlo per qualche tempo e poi riprenderlo e vedrai che sarà migliore tecnicamente e anche più maturo.

Per i brani che ho eseguito in questi concorsi, ho sempre cercato di suonare con la maggior maturità possibile in quel momento. Ognuno di noi sa bene qual è il suo grado di preparazione. Dopo aver lavorato sulla diteggiatura, sui movimenti del corpo, sul suono e sulla memorizzazione, la mia unica preoccupazione nel momento in cui sto suonando è essere espressivo, entrare nella parte come un attore sul palco che è capace di immedesimarsi nel personaggio per esprimere qualcosa. Interpretare, nella musica come nella recitazione, vuol dire essere capaci di raccontare una storia.

Ad ogni modo è bene non bere prima di suonare, (ride!), una sana dormita, tutto qui.

 

Questo richiede una grande capacità di ascolto di se stessi per saper trasmettere le proprie emozioni attraverso lo strumento. Jean Guillou diceva che: “L’organo è un’entità dalle risorse infinite, bisogna considerarlo come tale e non come uno strumento compiuto”.

 Dipende dal tipo di organo, quando suono su un piccolo strumento, non vivo la stessa dimensione. Qualche volta è molto ispirante perché è come se tutto il mondo mi appartenesse. Il suono dell’organo è capace di trasportarti molto lontano, poi ogni strumento trasmette una sensazione diversa. Alcune volte mi sento in capo al mondo perché c’è questo fantastico suono che avvolge tutti ed è una sensazione unica. Spero di portare le persone che mi ascoltano nella stessa dimensione in cui mi trovo io mentre suono. Vorrei che provassero le mie stesse sensazioni, che in quel piccolo momento, per un attimo, vivano una trasformazione…l’importante è che poi tornino indietro ad ascoltare l’organo…(ride!).

 

Dal 2016 è uno degli organisti titolari dei grandes-orgues di Notre Dame a Parigi. Un ruolo di grande prestigio, ambito da molti organisti francesi. È stata dura la selezione?

 La selezione si divideva in quattro fasi. Innanzitutto bisognava inviare il proprio dossier con le motivazioni personali, a questo è seguita un’intervista con una commissione composta da molte persone. Poi si passava alla pratica: tre prove esecutive, rispettivamente di repertorio, improvvisazione e accompagnamento della durata di quarantacinque minuti ciascuna in cui ho improvvisato all’organo e accompagnato diversi tipi di canti liturgici comprese le melodie gregoriane. A questo punto mi trovavo a competere solo con un altro organista per l’ultimissima prova in cui bisognava accompagnare, eseguire brani di repertorio e improvvisare durante le messe per un intero weekend. È stato molto difficile e ho perso anche 5 chili.

Adesso che la cattedrale è chiusa per lavori, tutte le funzioni religiose sono state trasferite nella chiesa di Saint-Germain-l’Auxerrois, vicino il museo del Louvre. L’organo è un Clicquot del 1771 restaurato da Joseph Merklin nel 1864, ampliato in seguito da Adrien Maciet.

Il Cavaillè-Coll, danneggiato nell’incendio del 2019, è stato portato via totalmente, perché era pieno di polvere e cenere. Bisognerà restaurarne qualche elemento ma sarà rimontato alla fine del 2023. Speriamo si possano rispettare i tempi di consegna.

 

L’improvvisazione è un aspetto importante dell’essere organista. La tradizione francese ci ha dato tanti esempi. È una disciplina che va sempre parallelamente con lo studio del repertorio.

Rolande Falcinelli, che ha insegnato al Conservatorio Superiore di Parigi per quarant’anni dopo Marcel Duprè, diceva sempre: “Non possiamo improvvisarci improvvisatori”.

Come succede per i compositori, sentivo questo bisogno già quando ero giovane, questo desiderio intimo di creare. Nella mia esperienza ho studiato bene il repertorio anche attraverso l’improvvisazione. Ho cominciato molto presto, accompagnando le messe in chiesa, conoscevo già molti brani in quel momento, mi ero appassionato all’improvvisazione, ho ascoltato tantissimi organisti in molte registrazioni, alcune le ho amate molto, come quelle di Pierre Cochereau e così ho cominciato a sperimentare nell’improvvisazione. Questo vuol dire che ormai fa parte di me, mi appartiene.

In seguito l’insegnante ti aiuta e ti consiglia a dare forma alle improvvisazioni, ma l’unica cosa che nessuno mai potrà insegnarti è il linguaggio delle tue stesse improvvisazioni. Non ci sono ricette da seguire. Bisogna trovare da soli la propria strada, perché ognuno di noi è influenzato da tutta la musica che ha ascoltato.

L’improvvisazione funziona solo se hai una cultura musicale che deriva da tutto quello che abbiamo ascoltato. Bisogna avere nelle orecchie e sulle dita tanta musica, questo è fondamentale. È importante sviluppare la tua idea musicale, partendo da ciò che ami in particolare, in una ricerca continua, bisogna sedersi alla panca dell’organo con umiltà e continuare a provare e riprovare.

L’improvvisazione alla fine s’impara facendola, non solo pensando, ma è un esercizio che coinvolge mente e corpo. Bisogna allenarsi. È importante conoscere ciò che vogliamo sentire, anche se è dentro di noi. Pensare e fare sono azioni interconnesse, entrambe necessarie se vogliamo saper improvvisare.

L’improvvisazione ha in comune con il linguaggio jazz l’unicità dello stile. Possiamo riconoscere dopo poche note la mano di un pianista jazz, allo stesso modo è facile riconoscere lo stile e il linguaggio di ogni organista. Quando parlavi di ascoltare tanta musica, ti riferivi a tutta la musica, non solo quella organistica. Che cosa preferisci ascoltare di solito?

Mi piacciono molto Michel Petrucciani e Bill Evans. Sono fantastici. In questo momento sto ascoltando molto la musica di Pat Metheny, ma il mio compositore preferito da quando ero giovane è Maurice Ravel, sono un grandissimo fan di Gabriel Faurè e Henri Dutilleux.

Questi compositori, insieme a Chopin sono quelli che preferisco ascoltare, ma non posso non citare Robert Schumann e Johann Sebastian Bach. In generale mi piacciono tutti i compositori che hanno qualcosa di nuovo da dire, tutti quelli che mi fanno venire la pelle d’oca.

 

Johann Sebastian Bach per gli organisti è tutto, un compositore che ha il dono dell’infinito.

Per me è uno dei primi compositori più creativi della storia, ha inventato nuovi modi di comporre musica. La sua perenne e profonda ispirazione lo rende un grande musicista, la sua umanità e generosità ma anche il suo modo intelligente di concepire il ritmo, di costruire un brano partendo da un’idea musicale. Così pure l’uso che fa della retorica musicale, l’arte di trasformare in musica la sacra scrittura. Bach è il più grande ispiratore nella storia della musica, è sempre innovativo, ogni volta imparo qualcosa di nuovo.

Progetti discografici futuri?

Vorrei incidere qualcosa di nuovo quando riaprirà la cattedrale di Notre-Dame. Ancora non so esattamente cosa, ma mi piacerebbe registrare alcuni brani di un compositore che amo veramente molto, che è Jean-Louis Florentz e forse qualcosa di Marcel Duprè. Bisogna aspettare il 15 aprile del 2024, che è la data ufficiale di riapertura della cattedrale, per risentire di nuovo l’organo suonare.

 

 

Grazie Vincent per questa intervista e per aver condiviso con noi la tua esperienza e il tuo profondo approccio alla musica.

In attesa di rivederti seduto all’organo di Notre-Dame, ti auguro di continuare sempre a donare attraverso la tua musica, una piccola porzione di cielo.

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