di Smeralda Nunnari
«Non è un’opera. Né un melodramma, né una cantata, né un oratorio, né un concerto. È una tragedia composta di suoni, con la complicità di uno spazio.»
(Luigi Nono)
La genesi del Prometeo, considerato l’apex del pensiero musicale di Luigi Nono, inizia a Venezia ed è il risultato di una stretta collaborazione tra il compositore e il filosofo Massimo Cacciari, curatore del libretto, entrambi veneziani. Un’opera che rappresenta per Nono la realizzazione di un’idea: l’opera in funzione dell’ascolto, unico tema di un’opera complessa, che sottolinea l’importanza della relazione tra suono e spazio. Dopo un’elaborazione di circa quattro anni, la prima esecuzione assoluta avviene il 25 settembre 1984 a Venezia, nella chiesa sconsacrata di San Lorenzo, nell’ambito della Biennale musica, con la direzione di Claudio Abbado.
Per l’ambientazione dell’opera viene progettata una scenografia non convenzionale, realizzata dall’architetto Renzo Piano, una gigantesca arca in legno, simile a una cassa armonica di un immenso liuto, le cui pareti con tre livelli di balconi, per collocare gli esecutori, avvolgono e accolgono gli spettatori seduti alla base della nave. Una struttura, che consente di realizzare quella spazializzazione di suoni “in movimento”, caratterizzante l’intera opera.
In un paesaggio sonoro lagunare, che rappresenta per Nono, come evidenzia Restagno: «un sistema complesso che offre esattamente quell’ascolto pluridirezionale […] I suoni delle campane si diffondono in varie direzioni: alcuni si sommano, vengono trasportati dall’acqua, trasmessi dai canali […] altri svaniscono quasi completamente, altri si rapportano in vario modo ad altri segnali della laguna e della città stessa. Venezia è un multiverso acustico assolutamente contrario al sistema egemone di trasmissione e di ascolto del suono a cui siamo abituati da secoli».
Il Prometeo nasce dalla volontà di esplorare e stimolare una capacità di ascolto più profonda e dall’esortazione a non accettare qualsiasi realtà precostituita, si rifiuta di raccontare, di rappresentare, di compromettere l’ascolto con scenografie. La stessa vicenda di Prometeo, nel libretto, concepito come un arcipelago formato da cinque isole, non viene narrata, bensì evocata, attraverso un fitto gioco di citazioni, in greco, italiano e tedesco. Il Maestro del gioco di Cacciari diventa un poema senza tempo. Le sue citazioni utilizzate per la costruzione del testo sono tratte da testi di differenti autori e epoche: Sul concetto di storia di Walter Benjamin, Prometeo incatenato di Eschilo, Alcesti di Euripide, Prometeo di Johann Wolfgang von Goethe, Storie I, 32 di Erodoto, Teogonia di Esiodo, Schicksalslied e Achill di Friedrich Hölderlin, Nemea, VI di Pindaro, Edipo a Colono di Sofocle, Das Gesetz e Moses und Aaron di Arnold Schönberg e Umano, troppo umano di Nietzsche. Cacciari realizza così una geniale metafora di possibili percorsi di conoscenza e di esperienza.
Nono attinge al libretto di Cacciari per tracciare il proprio percorso. In un arcipelago di isole unite nella dialettica suono – silenzio, il compositore allestisce un’acutissima opera di suoni, non di attori, non di personaggi: la tragedia dell’ascolto, dove si consuma la vicenda di Prometeo. Il titano simbolo di trasgressione e ribellione, nei confronti del potere, punito ferocemente da Zeus, per aver rubato il fuoco agli dei. Incatenato viene esposto al supplizio eterno di Aithon, una mostruosa aquila, che gli squarcia il petto e dilania il fegato.
La realizzazione noniana riesce a liberare la sua opera dalla servitù della narrazione e dell’immagine. In un meditato ripensamento della polifonia rinascimentale, capace di cogliere l’irripetibile. Una esortazione a superare il proprio limite di conoscenza. Prometeo non è solo l’eroe che porta all’umanità il fuoco e il sapere pratico, ma anche colui che non accetta imposizioni e omologazioni, alla profonda ricerca dell’incomprensibile e dell’inafferrabile. Il compositore struttura l’opera in nove parti, ciascuna caratterizzata da un organico peculiare e da un diverso uso della voce.
L’opera si apre con un Prologo in cui due voci soliste recitano passi della Teogonia di Esiodo attraverso la genealogia degli dei greci da Gaia a Prometeo, mentre il coro interagisce ripetendo nomi di divinità. Solisti e coro si intrecciano nel testo delle stanze I e II da Il Maestro del gioco, tratte da Sul concetto di storia e dalla IX Tesi di filosofia della storia di Benjamin, come in un tropo medievale. L’orchestra si alterna ai solisti, il trio d’archi da un lato e il duo flauto basso e clarinetto contrabbasso dall’altro.
Segue l’Isola I, scritta come un dialogo musicale tra l’orchestra, sezioni e coro a cappella. Mitologia pone domande a Prometeo sulla sua colpa: le parti di Prometeo ed Efesto, tratte dal Prometeo incatenato di Eschilo, vengono lette soltanto mentalmente dagli strumentisti mentre suonano, ma non eseguite.
L’Isola II è costituita da tre momenti: Nel primo, Io-Prometeo contralti e soprani (Io, figlia di Inachos), tenore, flauto basso e clarinetto contrabbasso (Prometeo) e il coro intrecciano le loro parole, tratte dal Prometeo incatenato di Eschilo. Io, posseduta da Giove e per questo perseguitata da Era, rappresenta lo specchio di Prometeo, le sue inquietudini e lo spinge a un incontrollabile desiderio di bellezza, di meditazione, di scoperta, ma Prometeo le risponde profetizzandole un amaro futuro. Nel secondo, tra soprani, flauto basso e clarinetto contrabbasso e voci recitanti, Mitologia lamenta il proprio destino senza pace, su frammenti del celebre Schicksalslied di Hölderlin. Nel terzo, o Stasimo I, su una sentenza dall’Alcesti di Euripide e su altro passaggio del Prometeo di Eschilo, si susseguono frammenti musicali dislocati nello spazio, antifonali, come una reminiscenza dei cori spezzati rinascimentali, lamenti che rimandano al Prologo: la sofferenza di Io è implacabile, perché la giustizia è irraggiungibile.
Nell’Interludio I siamo al centro dell’opera, sul testo de Il Maestro del gioco, citando il Prologo, contralto e fiati al limite dell’inudibile alludono all’ascolto sottile, intenso, all’ascolto delle rocce, dell’oscurità, dell’invisibile. Cogliere l’attimo irripetibile è la forza del Maestro del gioco che rompe l’indifferenziato scorrere del tempo di Prometeo, conoscitore del passato e del futuro.
Segue Tre voci/a, in cui si sovrappongono tre livelli sonori distinti: solisti, euphonium con canto simultaneo in live electronics e archi. Il testo comprende frammenti da Il Maestro del gioco, VII, VIII e IX, fondati sulla nona Tesi di Benjamin. Il tempo polifonico de Il Maestro del gioco accade: riprendendo l’idea dello Stasimo primo, esorta a cogliere l’attimo senza tempo che sospende la concatenazione degli eventi per unirsi fugacemente con l’assoluto.
L’Isola III, IV e V, caratterizzate ognuna da un organico vocale e strumentale differente: coro e orchestra, costituiscono un unico episodio. Le tre isole si alternano tra loro e si ripetono, assieme al coro che esegue una eco lontana dal Prologo, composta da emissioni di vocali, come una memoria interna d’immagini marine. A dominare l’orchestra sono i fiati. Terza e quarta isola sono costruite su frammenti dall’Edipo a Colono di Sofocle e da Le opere e i giorni di Esiodo, con inserti da Moses und Aaron di Schönberg, Kolomb e Achill di Hölderlin e Umano, troppo umano di Nietzsche. La quinta isola è strumentale, anche qui, il testo viene visto solo dagli strumentisti. Il dramma, che è il risultato di decisioni responsabili, irripetibili, autocoscienti, si compone in polifonia.
Riprende Tre voci/b, dove il coro a cappella intona, tra forti sbalzi dinamici, associati ad un preciso andamento agogico, frammenti di testi da Il Maestro del gioco X, XI e XII.
L’Interludio II è un brano completamente orchestrale che combina i suoni gravi di quattro gruppi composti da violoncello, contrabbasso, fagotto e trombone, con quelli delle campane di vetro sottoposte a live electronics, in un’atmosfera cupa e misteriosa.
L’opera si conclude con lo Stasimo II. Con sottili effetti d’eco, che richiamano la tradizione veneziana dei cori battenti praticata in San Marco a Venezia da Giovanni e Andrea Gabrieli nel Cinquecento, e con le voci dei solisti che si dissolvono e riemergono in una sorta di continuum con gli strumenti, il testo di Cacciari, che cita il Prometeo di Eschilo, dove si riflette sulla legge e sulla decisione responsabile che si emancipa dalla legge, prosegue con parti de Il Maestro del gioco e termina con gli ultimi versi di Moses und Aron di Schönberg, indica l’apertura di molteplici vie e silenzi.
Nell’intera opera l’elettronica ha un ruolo fondamentale nel disegnare il suono, nel delineare lo spazio e nel condurre una navigazione immaginaria, negli orizzonti inesplorati del suono e del silenzio. Insieme alla componente architettonica riesce a giocare un ruolo determinante nella tessitura del paesaggio sonoro che percorre l’arcipelago. Entrambe intrecciano l’atmosfera filamentosa e fluida, agendo sulla stimolazione di legami percettivi composti da rimandi, ricordi, echi e occultamenti. La relazione noniana con il fascino della composizione per lo spazio in realtà non è dettata da spinte avanguardistiche verso la nuova liuteria elettronica, ma si sviluppa mediante un percorso di ricerca genealogico che trova nella scuola veneziana e nelle composizioni per cori battenti dei Gabrieli il suo punto di riferimento più diretto.
Il fattore elettronico, architettonico e compositivo s’integrano in modo così organico attraverso l’ideazione e l’azione noniana del rapporto tra suono silenzio-rumore che il Prometeo diviene l’opera manifesto dell’estetica del compositore veneto.
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