(di Stefania Bernacchia) Riccardo Arrighini mi da appuntamento nel suo studio in una mattina calda e soleggiata. Non ha l’atteggiamento del musicista chiuso ed introverso, mi accoglie al contrario con un sorriso e mi dice ‘prima dell’intervista chiacchieriamo un po’. Scopro così che ha due bellissimi bambini e che odia i programmi tv in cui si deve ridere sempre e comunque. La stanza parla della sua ricerca musicale, ovunque libri, quadri, cd e note musicali che raccontano storie di vita dei grandi protagonisti di questa bellissima arte, che può rapirti e non lasciarti più.
Riccardo, per prima cosa raccontaci un po’ di te, chi sei e che cosa fai?
Sono un pianista, nato e cresciuto a Viareggio. Ho iniziato a studiare pianoforte all’età di sette anni, prima quello classico, diplomandomi all’Istituto musicale Luigi Boccherini a Lucca, per passare poi al jazz, essendomi irrimediabilmente innamorato fin da subito dell’ ispirazione jazzistica. Purtroppo però negli anni ’90 in Italia non c’erano seminari o corsi specifici per imparare questa disciplina, quindi decisi di partire per l’America, vivendo e studiando per due semestri (uno nel 1991 e l’altro nel 1993) al Berklee College of Music di Boston.
E dopo questo lungo periodo di studio?
Sono iniziati gli anni della formazione e della cosiddetta ‘gavetta’, andavo nei club per imparare e mi concedevo qualche concorso, talvolta vincendolo, come nel caso del Barga Jazz nel 1996. Così mi formavo sempre più, mentre la mia fiducia e autostima cresceva e mi dava la forza per andare avanti, sempre più convinto che quello sarebbe stato il mio mondo.
Qual è stato il momento della svolta, quello in cui da studente di jazz sei passato a farne una vera e propria professione?
Il salto vero e proprio c’è stato nel 2000-2001: feci un disco con il mio Trio e lo presentai a Macerata all’etichetta Philology di Paolo Piangiarelli, un importante talent scout. Il disco piacque molto e mi chiamò quasi subito per fare una serie di dischi.
Nel 2003 poi conobbi e iniziai a collaborare con Francesco Cafiso, enfant prodige che a 14 suonava il sax magnificamente. Andammo in varie trasmissioni televisive come Amici e Buona Domenica; divenni il suo pianista di riferimento e lo seguii in tournèe in giro per il mondo (Brasile, Australia, Giappone, New York e l’Europa tutta) fino al 2007 compreso.
Poi cosa è successo?
Gli anni passati in giro per il mondo sono stati appaganti e culturalmente stimolanti, ma iniziavo a stufarmi di fare sempre un po’ le stesse cose.
Perché forse è vero che un artista ha sempre bisogno di nuovi stimoli?
Decisamente. Inoltre sentivo il bisogno di sviluppare idee mie, avevo tanti progetti in mente ed era arrivato il momento di iniziare a realizzarli. Fu in quel periodo che proposi a Umbria Jazz la mia idea su Puccini.
Ecco, spiegaci meglio com’è nata questa tua idea rivoluzionaria che ha unito per la prima volta la musica classica-lirica con il jazz. Come hai avuto l’illuminazione?
Non ci crederete, ma l’idea iniziale non l’ho avuta io, bensì un muratore. Lavorò per un lungo periodo vicino casa mia e ogni volta che arrivavo o uscivo da casa mi fermava, dicendomi che ‘avrei dovuto fare Puccini’. A dire il vero inizialmente quest’uomo mi risultò pesante e pedante, ma quella sua frase non riuscii più a togliermela dalla testa, finchè un giorno, all’improvviso, tutto mi fu chiaro: l’anno successivo (il 2008 n.d.r.) sarebbe stato l’anniversario dei 150 anni dalla nascita di Giacomo Puccini, motivo per cui durante un concerto a Lucca mi chiesero di fare un pezzo proprio di Puccini. Lo improvvisai e in quel momento capii che forse quel muratore aveva ragione. In un mese tirai giù Puccini Jazz, in maniera del tutto spontanea, come un fiume in piena; lo proposi a Umbria Jazz e piacque davvero molto, tant’è che continuai a suonare e proporre Puccini Jazz addirittura fino al 2010.
Ti sei concentrato maggiormente su un’opera specifica di Puccini?
No, ho fatto un excursus di brani vari dell’autore. Questa novità mi appassionò molto e riarrangiai nell’ordine Vivaldi (nel 2009), Chopin (nel 2010, anniversario dei 200 anni dalla nascita) e Verdi (nel 2011 per i 150 dell’Unità d’Italia), forse l’autore più difficile da riarrangiare ma che il pubblico ha apprezzato. Nel 2012 è stato l’anno di Ennio Morricone e poi Beethoven, Rossini e Mozart, fino ad arrivare al 2015. Adesso in tutta sincerità ho bisogno di una pausa. Ma purtroppo essendo un inquieto di natura, se non ho una meta da raggiungere fondamentalmente mi annoio, quindi sicuramente la mia quiete durerà poco (ride).
Riccardo, cosa pensi dei giovani? Come li inquadri?
C’è un fermento enorme, ho tantissimi ragazzi che vengono da me a lezione (insegno jazz da 25 anni, praticamente dal mio rientro in Italia da Boston, anche perché oltre ad adorare l’insegnamento, il jazz è un continuo ripassare e praticare, praticare e studiare, suonare e ricercare). L’ Italia è un paese di talenti, ognuno è geniale a modo suo, l’unico sbaglio da non fare è quello di creare persone tutte uguali, omologate, senza distinzioni; occorre invece riuscire a tirar fuori quello che di originale c’è in ognuno di noi.
A proposito di giovani talentuosi, tu eri sicuramente un ragazzo fortemente dotato (e sicuramente questo grazie anche al padre Franz, conosciutissimo insegnante di musica n.d.r.). Qual è il tuo ricordo più bello legato alla musica?
Ricordi belli ed emozionanti ne ho molti, ma credo che il più sentito sia il giorno del Diploma. La cosa che non potrò ma dimenticare è stato il momento esatto in cui suonavo durante la prova d’esame. In quel preciso istante ho provato un vero e proprio senso di godimento, in un momento così delicato e importante, sotto gli occhi di chi doveva giudicarmi, io riuscivo già a godermi la musica: in quel momento ho capito che quello sarebbe stato senza dubbio il mestiere della mia vita. Perché alla fine non sono gli applausi e le conferme che fanno di un uomo un musicista, bensì la consapevolezza di esserlo, il piacere che prova nel realizzare la sua passione. Senza paura di essere giudicato, senza timore di sbagliare, farsi solo rapire dalla musica e lasciarsi trasportare in un’altra dimensione.
Dunque la consapevolezza che la musica avrebbe fatto parte della tua vita è arrivata molto presto. Altri momenti indelebili legati alla tua carriera?
Un altro momento di fortissima emozione è stato quando ho suonato Piano Solo in Australia: portare la musica di Puccini fino ai nostri antipodi ed essere così applaudito e apprezzato al di là del mondo mi ha dato davvero una grandissima carica. E ancora quando nel 2007 ho suonato di fronte a grandi nomi del jazz al Birdland Jazz Club di New York, locale dove nel corso degli anni si sono esibiti i più grandi jazzisti del mondo (da Miles Davis a Oscar Peterson).
Quest’ultimo è un momento che spesso rivivo intensamente dentro di me e ancora oggi mi trasmette le stesse vibrazioni di allora.
Quali saranno le tue prossime pubblicazioni?
Sto lavorando ad un nuovo disco dall’autunno scorso (2015 n.d.r.), si tratta di un nuovo Trio composto da me, dall’empolese Mirko Capecchi al contrabbasso e dal livornese Daniele Paoletti alla batteria. Con loro ho già fatto qualche concerto e a metà maggio registreremo il disco, che avrà una sonorità tutta toscana e vedrà composizioni tutte mie.
Nell’epoca attuale si cerca sempre più di mescolare fra loro diverse forme di arte (musica e danza, arte e ballo, pittura e suono ecc ecc). Tu ti ritrovi su questa scia?
Assolutamente. Non molto tempo fa l’editore di Trio in Opera mi suggerì di fare la Bohème in Jazz (che fra l ‘altro ho scoperto essere l’opera lirica più cliccata sul web). L’ho pensata in Piano Solo per prendermi la paternità del progetto, cosa che noi artisti oggi come oggi siamo costretti a fare per proteggerci da internet e da tutto ciò che pubblichiamo in rete. Sapevo però che avrei dovuto ampliarla e l’idea su cui sto lavorando è quella di impiegare sul palco un attore professionista, che reciterà e racconterà l’opera e un pittore professionista, che dipingerà scene tratte dall’opera, in diretta sul palco; per interpretare le parti dell’uomo ho scelto Aldo Bassi alla tromba mentre x il ruolo delle donne (Musetta e Mimì) ci sarà Angelo Corvino al violino. Un quintetto intercambiabile. Con Stefano Cianti (di Viterbo), esponente della cosiddetta live painting, abbiamo già fatto tre concerti, nei quali lui in modo del tutto improvvisato, dipinge a ruota libera su una tela di 2m x 2m mentre io suono la Bohème in Jazz appunto.
Credi che il pubblico apprezzerà questa nuova forma di arte?
Noi siamo un popolo passionale e creativo, e questa è la nostra vera forza. Puccini diceva una cosa sacrosanta: ‘a teatro ci si va per due motivi: o per piangere o per ridere’, ovvero per provare una forte emozione. Purtroppo però negli ultimi anni sto notando una tendenza troppo marcata verso il divertimento: la gente vuole divertirsi fino all’esasperazione, cerca solo il cabaret. Forse è un po’ un segnale che la gente è stufa di sentir parlare solo di crisi, ma il sale della vita sono le emozioni con la E maiuscola, non il divertimento e il voler ridere a tutti i costi. Voglio dire al prossimo: torniamo ad emozionarci! Non riduciamo tutto alla commercializzazione, che poi va a discapito della qualità preferendo la quantità. Negli ultimi anni si è avvertita una forte tendenza verso la banalità, si vive sui like posti sui social network, gli stessi festival accettano il tuo nome se e solo se sei in grado di garantire un certo numero di spettatori. Mi viene quasi da dire che siamo di fronte per certi versi alla morte dell’arte.
Un artista come te deve soffrire molto per questa nuova tendenza della società.
Credo sia un terreno molto pericoloso, vuoi perché ci sono moltissimi artisti straordinari, che vivono per quello che amano fare e passano la vita a studiare e a ricercare e non hanno tempo per stare dietro ai social, vuoi perché ci sono pseudo-musicisti che vivono solo sui like e al contrario hanno più successo e popolarità rispetto ai più bravi; in tal senso possiamo dire che c’è molta superficialità e poca meritocrazia. Qualcuno osa dire che potrebbe essere questo il futuro dell’arte: va avanti chi si può permettere di ‘comprare’ la sua posizione, i like, intere tournèe. Ma così facendo non c’è selezione, né meritocrazia, chiunque in tal modo può arrivare al ’successo’. Io non sono il classico musicista chiuso a cui non piace la gente, al contrario sono un estroverso e per certi versi non sono contrario alla socializzazione e cerco di stare al passo coi tempi, ma non vivo sui like, né tantomeno faccio della mia professione un qualcosa che si basa solo sul marketing.
Forse Riccardo sei un artista con la A maiuscola..
Questo non lo so, ma ti garantisco che ancora oggi a 48 anni la mattina non vedo l’ora di venire in studio e iniziare a suonare e a studiare, così come un bambino non vede l ‘ora di finire di mangiare per andare a giocare. E’ una cosa innata, che nessuno può dare o togliere: come disse Picasso ‘Ho impiegato 80 anni per dipingere come un bambino’ cioè ho impiegato tutta la vita a eliminare tutte le sovrastrutture che la vita impone, per ritornare a dipingere con il mio istinto più ingenuo e puro, ricordando chi sei veramente nell’animo. Michelangelo stesso diceva: ‘io vedo l’angelo nella roccia, devo solo togliere il superfluo’. Vedere il tuo angelo è una cosa difficilissima, in pochi riescono a vedere e a capire realmente cosa vogliono, cosa cercano nella loro vocazione artistica, al di là delle sovrastrutture imposte dalla società; è una sorta di ricerca al contrario, una regressione, un ritorno alla semplicità.
Ecco, io posso dire che ho iniziato a togliere, a eliminare, a selezionare, a cercare dentro di me, seguendo quella smania che ho da sempre, ma nell’ottica nuova del fare meno, fare meglio. Un esempio su tutti è questo ultimo album in Trio: è la prima volta che mi dedico totalmente alla produzione di un unico album; da quasi un anno mi dedico con grande attenzione a come voglio suonare, non a cosa. Non mi interessa il marketing. Chi vive di musica vera, di arte deve ascoltare l ‘anima. E’ questo il mio messaggio per i giovani: cercate sempre di inseguire le vostre passioni e i vostri sogni, senza dare troppo spazio al divertimento a tutti i costi, perché non si può sempre solo ridere, occorre il giusto equilibrio.
Non tutto lo stivale si dirige in questa direzione, giusto?
Vero. Il Sud d’Italia per esempio esula un pò da questa tendenza, c’è ancora una forte attaccatura all’arte intesa come tradizione; forse purtroppo sono abituati a convivere maggiormente con una realtà piu difficile e per certi versi in crisi da molto tempo, quindi c’è più attenzione verso gli usi e i costumi, verso un godere delle piccole grandi cose che la realtà offre.
Forse è questo il tema di questa nostra chiacchierata: essendo io stesso un musicista sanguigno, un passionale, pucciniano e verdiano, vorrei che i giovani riuscissero a sprigionare la loro passionalità, che poi è la cosa che maggiormente ci caratterizza in tutto il mondo (e lo dico perché ho avuto modo di verificarlo in prima persona) e che si riflette poi in tutte le discipline artistiche, dalla cucina alla pittura, dalla moda alla musica.
Ecco il messaggio che voglio lasciare alla fine di questa intervista: recuperare la passionalità, far uscire il Puccini che è dentro di noi.
Riccardo, è stata una piacevolissima chiacchierata.
Adesso però vogliamo sentirti suonare, cosa ci regali?
Un pezzo mio, che amo molto e che non trovate su internet. Lo dedico ai giovani e a tutti quei momenti in cui dopo un periodo un po’ di stasi, si risente dentro di noi quella fiammella di passione che incomincia di nuovo ad ardere.
Il titolo è: ‘Risvegli’.
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