di Smeralda Nunnari
Bruno Maderna, compositore e direttore d’orchestra italiano, figlio di un musicista d’intrattenimento, Umberto Grossato, adotta, come pseudonimo, il cognome da nubile della madre: Maderna.
Fondamentale per la sua formazione di compositore è l’incontro nel 1948, con Hermann Scherchen, direttore d’orchestra tedesco che tiene, in quell’anno, il Corso internazionale di direzione d’orchestra, nel Festival internazionale di musica contemporanea della Biennale di Venezia. Scherchen introduce Maderna alle composizioni della Seconda scuola di Vienna (Schönberg, Berg, Webern). Determinante nel produrre una svolta modernista nella poetica dell’autore, reduce della formazione accademica di Bustini e degli insegnamenti di Malipiero, improntati a un’estetica neoclassica.
Nel 1950, Karl Amadeus Hartmann, lo chiama, come primo direttore straniero, a dirigere un concerto della serie Musica Viva a Monaco di Baviera. Inizia, così, la sua carriera internazionale che si svolge sotto l’insegna di un eclettismo programmatico, con la giustapposizione di autori lontani cronologicamente, come Monteverdi, Gabrieli, Mozart, accostati ai rappresentanti delle sperimentazioni più recenti, un disegno di sensibilizzazione e trasmissione del patrimonio musicale, che vede, proprio nell’affiancamento tra repertori nuovi e antichi, la chiave per avvicinare il pubblico alla musica contemporanea. Nel 1951 fonda l’Internationales Kranichsteiner Kammerensemble. Nei corsi estivi di Darmstadt, presenta le B.A.C.H. Variationen, per due pianoforti. Maderna viene a contatto, con diversi autori, che rivestiranno un ruolo importante, nell’evoluzione della musica del XX secolo : Boulez, Messiaen, Cage, Stockhausen e Pousseur.
Spirito avventuroso e irrequieto, l’artista non smette mai di ricercare, analizzare e sintetizzare tecniche compositive nuove; dal neoclassicismo modaleggiante dei lavori giovanili, si avvicina all’espressionismo atonale della seconda scuola di Vienna e alla dodecafonia, senza dimenticare l’esperienza bartokiana. Precursore del serialismo musicale, insieme a Stockhausen, Boulez e Nono, dai cui rigori si discosta per elaborare il suo personale universo seriale.
Il compositore è tra i primi ad indagare le possibilità offerte dall’alea, a questo riguardo, la sua Serenata per un satellite viene considerata universalmente come uno dei momenti di più alto lirismo ottenuti attraverso l’utilizzo di tecniche aleatorie. Contemporaneamente anticipa l’impiego dei mezzi musicali elettronici, nel suo brano Musica su due dimensioni è il primo in assoluto a prevedere l’interazione tra un musicista dal vivo ed un nastro registrato.
Maderna dedica la sua Serenata per un satellite, composta nel 1969, all’ingegnere e fisico torinese Umberto Montalenti, all’epoca direttore dell’European Space Operation Center con sede a Darmstadt. L’uno ottobre, la stessa notte in cui, sotto la direzione del Montalenti, viene messo in orbita il satellite ESTRO I B “Boreas”, dall’isola di Vandemberg, nell’oceano Pacifico, per lo studio dei fenomeni strettamente connessi alle aurore boreali, l’autore stesso dirige la prima della sua composizione celebrando l’avvenimento, con gli esecutori: Sweekhorst (flauto), Faber (oboe), Busse (arpa), Rossmann (marimba) e Gawriloff (violino). In questa esecuzione, inoltre, non viene utilizzato il titolo con il quale oggi il pezzo è conosciuto, dato che, nell’iniziale stesura, il brano viene intitolato Serenata per un missile.
Il musicologo Massimo Mila rileva che l’artista viene enormemente attratto da queste operazioni futuristiche e “stregonesche”, tanto da tentare di riprodurle in musica, sia da un punto di vista sonoro e formale, che grafico. Come altre partiture novecentesche della musica aleatoria, la Serenata è composta da un unico foglio, sul quale i pentagrammi sono disegnati anche diagonalmente, magneticamente attratti o respinti, disposti per tutto l’arco della pagina, dove le note, unendosi e scontrandosi, danno vita a disegni astratti: un ideogramma, un arabesco, una scacchiera.
Tale composizione disegna una specie di labirinto sonoro, <<un reticolato di righi musicali, obliqui, ricurvi, di frammenti da eseguire liberamente, ma notati con indicazioni molto precise, un gioco che documenta l’approccio aproblematico di Maderna con il mondo dell’alea>>, ove gli strumenti improvvisano ad libitum sulle note scritte in partitura, che si presenta quindi come una sorta di contenitore di tutte le possibilità.
Se osserviamo, attentamente, la partitura, la disposizione dei pentagrammi evoca immagini di orbite disegnate. Con questo spartito l’autore ci introduce alla scoperta di un multimondo. Un mondo non lineare e unidirezionale, appartenente alla tradizione classica, ma un mondo circolare, sferico. Un mondo con molte porte d’entrata e d’uscita, in cui i personaggi hanno caratteristiche che si definiscono, di volta in volta, in modo diverso, che possono essere accoppiati, in modo, ogni volta, imprevisto. È un mondo in cui la sua stessa dimensione spazio – temporale può cambiare ogni volta che c’entriamo, il perché sta in una caratteristica fondamentale di questo brano, che diventa un grandissimo regalo, che il compositore fa all’interprete: la possibilità di costruire la propria mappa di questo mondo, stabilirne le entrate, le uscite, le tappe ed i luoghi di ritrovo e, quindi, l’intera geografia del luogo.
In Maderna, questa capacità richiesta all’esecutore, di intuire e inventare i possibili sviluppi di un brano musicale è portata all’estremo. La messa in discussione del ruolo dell’interprete, ma anche del pubblico e della partitura è enorme ed ha delle grandi conseguenze sul pensare della musica. Gli effetti culturali e musicali sono paragonabili a quelli seguiti alla comparsa, diciassette anni prima, di 4’33’’ di John Cage, che mette in discussione l’atto stesso di pensare la musica e la ritualità del concerto. E così con la Serenata ci troviamo davanti a due aspetti, opposti ed importanti, in termini di effetto sull’umano: siamo soli, in assenza di un universo condiviso, e con la mancanza della versione giusta del pezzo, a cui gli studi tradizionali ci hanno abituato, ma siamo chiamati ad una creatività che, per non trasformarsi in un vuoto disarticolato, non può che essere responsabile e consapevole.
E allora, una volta vinta la paura dello sconosciuto che, sicuramente, abita dentro di noi, osserviamola questa partitura, con occhio distaccato, insomma, senza cercare di riconoscere cose già note, ma piuttosto come farebbe un bambino che, in un castello fatato, osserva con occhi spalancati dalla curiosità tutte le cose mai viste che ha davanti. Essa è un mondo dalle infinite possibilità, una creatura multiforme, che può condurci in zone inesplorate. Le frasi musicali che danno vita al brano hanno tutte un carattere musicale definito, spiccato, tuttavia, questo carattere cambia radicalmente, se il performer le affronta in modo diverso. Come avviene nella musica per un film, uno stesso tema può essere sfondo di un tramonto, di un omicidio, di un bacio.
I pentagrammi o righi musicali sono disposti un po’ in tutte le direzioni, obliqui, orizzontali, curvati, in prospettiva crescente o decrescente. Alcuni righi sono molto brevi, altri piuttosto lunghi e sembrano attraversare l’intera partitura. In compresenza con gli aspetti non tradizionali della scrittura, troviamo una scrittura semiografica fondamentalmente tradizionale: frasi musicali sempre molto espressive, note, i normali segni di articolazione: crescendo, diminuendo, staccato, legato, respiri, indicazioni metronomiche.
Nello spartito vediamo anche parecchi segni non musicali: quadretti bianchi e neri che sembrano essere il risultato di un’esplosione tra uno scontro di due righi; un segno allungato, sotto il titolo, che potrebbe ricordare un clarinetto; una linea tratteggiata che finisce con una freccia che sembra la descrizione del movimento di un insetto: stanghette spezzabattuta più spesse del normale; righi che si allargano o restringono a dismisura come le linee di fuga di una prospettiva; note che si trasformano in segni non musicali. E, infine, troviamo, in basso a sinistra, le note esecutive, che possono essere considerate un esempio perfetto di cosa si possa intendere per opera aperta.
Essa rappresenta una delle pagine più significative nella storia dell’alea controllata, nell’intento di conciliare, secondo la teoria di Pierre Boulez, alea e composizione, casualità degli esiti musicali e impiego di materiale musicale prescritto rigorosamente. In grado di far scaturire momenti di alto lirismo e di combinazioni sonore da un materiale musicale inscritto in un percorso grafico, che delinea grandi orbite nello spazio, non convenzionale, rispetto alla notazione musicale comunemente intesa.
Qui, rientriamo nella musica a progetto, nel grafismo, ma anche organizzazione assolutamente aleatoria di brani musicali. In questo modello, viene indicato un arco temporale minimo e massimo, in cui il brano può essere eseguito. Il tempo si gestisce in maniera più libera possibile, ma, anche, la scrittura musicale, in questa specie di labirinto, che va a intrecciarsi è fatta da frammenti e linee, più o meno eseguibili, ovviamente, da strumenti che scelgono le parti da suonare.
La Serenata, secondo quanto prescritto dallo stesso autore in partitura, <<possono suonarla violino, flauto (anche ottavino), oboe (anche oboe d’amore, anche musette), clarinetto (trasportando naturalmente la parte), marimba, arpa, chitarra e mandolino (suonando quello che possono), tutti insieme o separati o a gruppi, improvvisando insomma, ma! con le note scritte>>. Le note scritte sono inserite in moduli interscambiabili disposti sulla pagina in vario modo, per diritto, per traverso, obliqui, diagonali, incrociati, uniti o separati, per consentire all’esecutore di seguire un percorso alternativo ad ogni performance, rispettando una durata variabile dai quattro ai dodici minuti.
La Serenata rappresenta a tutti gli effetti un’opera aperta, nel senso che prevede un notevole apporto creativo da parte dell’esecutore, la cui interpretazione è essa stessa aperta perché mutevole nel tempo. Interpretare una partitura con le caratteristiche simili a quelle della Serenata presuppone un gioco di ricomposizione dell’opera, quasi come fosse un puzzle i cui pezzi siano interscambiabili in maniera quasi anarchica.
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