di Giorgiana Strazzullo
Al Teatro di San Carlo, questa sera, 27 gennaio 2022 alle 20.30, andrà in scena il concerto per la Giornata della Memoria Il tempo della Fine. Quattro vite nell’apocalisse di Görlitz.
Il suggestivo racconto, scritto e narrato da Guido Barbieri, parla delle terribili condizioni in cui tra la fine del 1940 e i primi giorni del 1941 Olivier Messiaen, da detenuto, compone a trent’anni la sua opera il Quatuor pour la fin du temps nel campo di concentramento di Görlitz.
Il 27 Gennaio di ogni anno si celebra una ricorrenza internazionale davvero importante, la Giornata della Memoria, per commemorare tutte le vittime dell’Olocausto.
La scelta del giorno non è casuale: il 27 Gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.
Proprio in occasione di tale celebrazione, il meraviglioso Teatro San Carlo di Napoli ospiterà un concerto suggestivo ed emozionante.
L’esecuzione musicale è affidata ai celebri artisti Gabriele Pieranunzi al violino, Gabriele Mirabassi al clarinetto, Silvia Chiesa al violoncello e Maurizio Baglini al pianoforte. Il loro affiatamento e l’intesa raggiunta nel tempo lasciano presagire una serata di notevole spessore artistico.
Gabriele Pieranunzi violinista dell’ensemble e primo violino dell’orchestra del Teatro di San Carlo ci tiene a sottolineare quanto questo concerto rappresenti simbolicamente: «Una giornata significativa, una preziosa occasione per non dimenticare e per scongiurare eventuali nuovi scenari di guerra attraverso il rito della memoria storica.»
Ricostruendo il racconto avvincente e drammatico della nascita dell’opera di Messiaen e della sua prima esecuzione, si deve far riferimento alla sua cattura da parte dell’offensiva tedesca, nel maggio del 1940 dopo l’entrata in guerra, nel 1939, della Francia.
Il giovane compositore in compagnia di altri prigionieri fu trasferito per un anno nel campo di concentramento Stalag VIII-A di Görlitz nella Bassa Slesia (al confine Sud-Ovest della Polonia).
L’ufficiale responsabile dello Stalag era un appassionato di musica e, venuto a sapere delle competenze di Messiaen (come di altri tre prigionieri musicisti), lasciò lavorare il compositore in vista di un concerto al campo.
L’opera fu terminata nella prima settimana di gennaio del 1941 ed eseguita il 15 dello stesso mese al fianco di tre musicisti non professionisti. Henri Akoka al clarinetto, Jean le Boulaire al violino, Étienne Pasquier al violoncello e lo stesso Messiaen al pianoforte.
Gli strumenti mal messi, scordati e acquistati con i pochi soldi racimolati al campo permisero l’esecuzione, in forma di concerto per i detenuti, in un edificio del campo usato come auditorium.
L’intenzione stilistica di Messiaen era a vantaggio di una rarefazione ritmica maturata dalla convinzione che la scansione del tempo musicale, classicamente inteso, non riuscisse ad esprimere le vette del sentimento umano e spirituale.
La rigida e ingabbiata struttura delle battute andava liberata:
«La mia prima preoccupazione consisteva nell’abolizione del tempo stesso, qualcosa di infinitamente misterioso ed incomprensibile alla maggior parte dei filosofi, da Platone a Bergson.» (Goléa Antoine, Rencontres avec Olivier Messiaen, Paris: Juillard, 1960)
L’opera è composta di otto movimenti, ognuno dotato di titolo e introdotto da una breve dedica scritta dallo stesso Messiaen nella prefazione al Quartetto.
Il racconto – spettacolo di Guido Barbieri si pone l’obiettivo di dare risposte a tante domande:
«Ma che cosa accade se quella fotografia diventa un film, se facciamo tornare l’orologio del campo al 10 maggio del 1940, il giorno buio in cui inizia l’invasione nazista della Francia, e se poi lo facciamo ruotare in avanti, fino al 25 agosto del 1945, il giorno di festa in cui Parigi viene liberata? Come sono arrivati quei quattro uomini, che non si erano mai incontrati prima, nella stessa baracca dello Stalag VIII-A? Chi erano, come vivevano, che mestiere facevano prima di essere risucchiati dalla macchina della guerra? E come sono riusciti a passare tre mesi della loro esistenza di prigionieri provando tutte le sere, dopo il lavoro massacrante del campo, un’opera astrusa, difficile, oscura di un compositore di appena trent’anni? E poi, dopo quel 15 gennaio, che cosa ne è stato di loro? Come sono riusciti ad evadere dall’inferno di Görtlitz? Come e quando sono tornati alle loro case, alle loro famiglie, ai loro mestieri? Si sono più incontrati, hanno ancora suonato insieme, che cosa hanno conservato di quella esperienza dura, sconvolgente, dolorosa? Sono rimasti quelli di prima o hanno cambiato vita, idee, fede? A queste domande cerca di rispondere – basandosi sui dati storici certi e trasformandoli in racconto – lo spettacolo “Il tempo della Fine. Quattro vite nell’apocalisse di Görtlitz”. Il Quatuor di Messiaen viene eseguito integralmente, nella versione originale, ma tra una e l’altra delle otto sezioni interviene, per sette volte, una voce narrante.» Guido Barbieri
Non resta che concedersi il tempo dell’ascolto, del testamento musicale, scritto nell’era feroce, di Olivier Messiaen.
Lo spettacolo senza intervalli dura all’incirca un’ora e un quarto.
Modalità d’acquisto on line sul sito: www.teatrosancarlo.it oppure www.vivaticket.it.
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