Vivere “sul confine dell’inganno”. Alfonso Soldano racconta Sergei Bortkiewicz.

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di Maria Musti

Alfonso Soldano, 37enne pianista pugliese allievo di Aldo Ciccolini, è l’artefice della riscoperta di Sergei Bortkiewicz (1877-1952), compositore ucraino la cui tempestosa vicenda rimanda a dinamiche storiche tristemente attuali. A Cremona Musica International Exhibitions and Festival Soldano presenterà il suo libro Il confine dell’inganno, uscito per la casa editrice Florestano, unica biografia al mondo dedicata a questo artista.

 

Maestro Soldano, ha riportato all’attenzione del mondo l’opera di Sergei Bortkiewicz. Come lo ha scoperto?

Per caso. Amo ascoltare le registrazioni di pianisti storici e un giorno, alle prese con un’esecuzione di Moriz Rosenthal, mi sono imbattuto in un brano che mi colpì molto: era lo Studio op. 15 n. 8 di Bortkiewicz. Volli scoprire qualcosa di più sull’autore e cominciai la mia ricerca, non immaginando che si sarebbe protratta per due anni e mezzo.

 

A Cremona Musica presenterà proprio il risultato di questo lavoro, il volume che ha pubblicato per la casa editrice Florestano. Cosa rappresenta per lei questa fiera?

È un’occasione unica per una full immersion nel mondo musicale in tutti i suoi aspetti: una sorta di aggiornamento su ciò che di nuovo e importante sta accadendo nel nostro ambiente, nell’editoria, nell’evoluzione della tecnica costruttiva, nella ricerca musicologica, nella didattica. Non per niente è la più importante fiera europea del settore. Per noi pianisti è anche l’occasione di poter provare strumenti fantastici, i top di gamma delle migliori marche. Sono grato alla mia casa editrice, la Florestano di Roberta Magarelli, che mi offre la possibilità di raccontare in parole e in musica questa vicenda che mi ha così appassionato. Sarà la mia prima volta a Cremona Musica, e non nascondo di essere molto emozionato.

 

Come si è documentato per la sua ricerca?

Alcuni spartiti sono disponibili nella biblioteca online Petrucci. Per il resto dei materiali, non essendo un ricercatore professionista, mi sono avvalso dell’aiuto di due collaboratori, Wouter Kalkman, professore di Lettere all’Università dell’Aia, e Bhagwan Thadani, un ingegnere aerospaziale anglo-canadese appassionato di musica. Grazie a loro sono riuscito a recuperare parecchie lettere, in biblioteche ma anche nelle case private di discendenti di amici di Bortkiewicz. Alcuni brani, tra cui il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra, sono stati addirittura ritrovati a Hong Kong: sono pezzi per la sola mano sinistra dedicati al pianista austriaco Paul Wittgenstein, cui era stato amputato il braccio destro a seguito di una grave ferita di guerra e che scappando dalla Germania nazista li portò con sé.

 

Considera concluso il suo lavoro, o vede ulteriori prospettive di ricerca?

Ritengo di aver recuperato circa l’85% del materiale disponibile: ho quasi 200 lettere, 28 delle quali sono inserite nel libro. Di alcuni lavori, come l’opera lirica Die Akrobaten op. 50 o il Trio con pianoforte, si sono perse completamente le tracce, e temo che sarà molto difficile ritrovarle. Ci vorrebbe un colpo di fortuna, come quello capitato ad Aldo Ciccolini con la musica di Déodat de Séverac, compositore da lui molto amato: la vedova gli disse di avere un baule contenente parecchie carte del marito, che si rivelò pieno di spartiti!

 

A proposito di Ciccolini, lei è stato uno degli ultimi allievi del Maestro. Quale dei suoi insegnamenti porterà sempre con lei?

Più di tutti la sua cocciutaggine, la sua perseveranza. «La musica è per i cocciuti», diceva sempre: è un percorso in cui, inevitabilmente, si alternano successi e insuccessi. Mi fa piacere condividere, a questo proposito, un ricordo cui sono molto legato. Quando feci ascoltare a Ciccolini due delle Sonate di Skrjabin, lui si disse felice della mia scelta, perché lo trovava un autore a me congeniale, e mi consigliò quindi di studiare l’intero corpus sonatistico, perché un domani mi sarebbero tornate utili. Obiettai che temevo di non farcela, al che lui rispose: «Eh vabbè, non essere pigro. La musica è per i cocciuti».

 

Una virtù che le sarà tornata utile nelle sue ricerche! Ma ci dica ora, a proposito del libro: perché scegliere un titolo, Il confine dell’inganno, così enigmatico?

L’ho fatto per sottolineare un contrasto stridente. Bortkiewicz sembrava un predestinato dalla sorte: apparteneva a una famiglia nobile e ricca, aveva un grande talento musicale, ebbe ottimi maestri, frequentò eminenti personalità del mondo culturale. Poi però le vicende storiche portarono la sua vita in tutt’altra direzione, come un gigantesco inganno. Lui stesso ebbe modo di riflettere su tutto questo in una lettera del 1952, anno della sua morte.

 

A cosa è invece dovuta la scelta di scrivere il libro in prima persona?

Mi ero talmente immerso nel suo mondo, leggendo le sue lettere, che mi sembrava quasi di sentirlo parlare. Si esprimeva come se tutto fosse normale attorno a lui, mentre in realtà era costretto a vivere nel bagno di casa sua, unica stanza non danneggiata dai bombardamenti: un’enorme pietra aveva attraversato più pareti, finendo poi per adagiarsi sul suo pianoforte a coda. Lo racconta quasi con serenità, concludendo  che lo strumento non ne aveva risentito, anzi, non si era nemmeno scordato. Mentre tutto crollava, lui continuava a scrivere musica, a fare progetti. Un chiaro esempio di perseveranza, che mi ha colpito al punto da suggerirmi la scelta della prima persona.

 

Un cocciuto, quindi. Sarebbe piaciuto a Ciccolini! Pensa che il Maestro lo avrebbe apprezzato come compositore?

Credo di sì. Non ha fatto in tempo ad ascoltare il mio disco, ma gli piacque un breve brano che ebbi modo di proporgli. Lo trovò diretto, elegante senza essere sofisticato, non sovrabbondante e pesante come altri autori russi.

 

Come descriverebbe lo stile di Bortkiewicz a chi non lo ha mai ascoltato?

Lo definirei come una sorta di Grieg dell’Est, perché era molto bravo nelle miniature. Un ottimo compositore, la cui forza risiede in un lirismo affettuoso, meno graffiante e personale di quello di Rachmaninoff, senza mai uscire dai confini della tonalità. Si autodefiniva “un piccolo Ciaikovskij”: negli anni Venti del Novecento scriveva nello stile degli anni Ottanta del secolo precedente, in un linguaggio del tutto romantico. Leggermente anacronistico, quindi.

 

Anacronistico nello stile ma, alla luce della situazione politica, tristemente attuale dal punto di vista umano.

Quel che racconta nelle sue lettere è ciò che stanno vivendo gli ucraini e i russi oggi, un secolo dopo. E la guerra ha ripercussioni anche su ambiti che saremmo portati a considerare immuni: il mio disco su Bortkiewicz è inserito in una collana dedicata alla musica russa, con tanto di bandiera in bella vista sulla copertina del cd. Collana che, a causa del conflitto, è stata cancellata.

 

Quando potremo ascoltarla a Cremona Musica?

Il 22 settembre alle 16, in Sala Guarneri. Sono emozionato all’idea di poter condividere le mie ricerche e la musica di questo straordinario compositore, vi aspetto!

Il volume Il confine dell’inganno è disponibile sul sito della casa editrice (www.florestanoedizioni.it) e in tutte le più importanti librerie online.

 

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